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ABOLIRE LA MISERIA

Fa il paio con l’annuncio dei giorni scorsi dell’abolizione della povertà 

Con la manovra del Popolo, dice Luigi Di Maio, per la prima volta nella storia aboliremo la povertà. In fondo era la stessa ambizione di Gesù Cristo, fissata però nell’altra vita, non all’anno prossimo, e anche del socialismo reale, che aveva un’ottima considerazione di sé, eppure si era posto l’obiettivo non così a breve termine. Ma questo è il tanto dell’inutile ironia che si possa dedicare a un progetto di portata ultraterrena. O meglio, l’uomo si è sempre interrogato su come affrontare la sfida, ma senza stabilire la data della vittoria, e accontentandosi di rimontare un po’. Mentre era detenuto dal regime fascista a Ventotene - dove scrisse il Manifesto omonimo insieme con Eugenio Colorni e Altiero Spinelli alla base della costruzione europea - Ernesto Rossi scrisse anche «Abolire la miseria», un contributo serio allo sviluppo dello stato sociale. 


Fu un tema dominante, durante la guerra. Nel 1941, Churchill e Roosevelt pianificarono la «liberazione dal bisogno» per debellare quella malattia infettiva come la peste che è l’indigenza, e che porta alla metastasi dei popoli e alla dittatura. Da allora molto è cambiato, e la miseria non è stata vinta ma di colpi ne ha subiti parecchi. Eppoi uno come Rossi, liberalsocialista, fondatore del Partito radicale, non cedeva mai al ridicolo della demagogia, e subito segnalò che sussidi indiscriminati avrebbero favorito gli oziosi e gli imbroglioni. Cioè c’è chi ci marcia. Ma in un paese il cui premier, ieri, ha detto che la crescita economica ci «spetta di diritto», uno come Rossi verrebbe invitato a tornare a Ventotene a imbrattare scartoffie. 

 

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