ADRIANO OLIVETTI : UN ANTICIPATORE DEI TEMPI

Sessanta anni fa ci lasciava a soli 58 anni un imprenditore che ha lasciato un suo segno non solo nel fare impresa, ma nell’idea stessa di paese e di società.
Il suo impegno, la sua visione aveva, come è naturale che fosse, il baricentro nell’impresa, ma un’impresa che nella sua visione e nella sua azione si poneva al servizio della comunità e delle persone, e che aveva persino l’ambizione di essere luogo di democrazia nella quale imprenditori, lavoratori e Istituzioni del territorio partecipassero, condividendo responsabilità e ricadute della gestione dell’impresa stessa. 

Un idea di azienda che non occupandosi solo dei suoi profitti, paradossalmente crea le premesse per una sua identità e credibilità e che creano valore e immagine molto più di qualunque investimento in campagne di comunicazione. 

Un imprenditore che ha saputo fare innovazione buona, cioè capace di far crescere, nel senso più compiuto del termine, l’azienda, le persone ed il mondo in cui ha vissuto, con la sua capacità di individuare nuove strade per cambiare in meglio. 

Non è stato amato in quella stagione dal mondo economico, perché raccontava una storia troppo diversa dai più, e forse troppo in anticipo sui tempi, una storia che in qualche misura fa il paio in terra di Langa con quella di Pietro, Giovanni e Michele Ferrero, ma molto lontana dal decorso che ebbe gran parte del mondo industriale in quella stagione.

Non è stato così amato neanche dalla cultura in quella stagione perché la sua idea di comunità come centro e cuore della vita delle persone e luogo della crescita e del riscatto sociale faticava e fatica ad essere accolta come una risorsa ed una opportunità per costruire una società migliore.

Rimango convinto che il valore delle innovazioni si possa leggere in ciò che rimane nel cuore delle persone, e che anche quando dovessero poi essere superate o magari cancellate, se erano innovazioni buone rimarranno come un seme fecondo, che prima o poi  in qualche luogo darà il suo frutto, e perché hanno reso evidente e continuano a raccontare che si poteva e si può fare.

E rimango convinto che quella sua idea di comunità, come luogo nel quale radicare tante risposte alle sfide di ieri e di oggi, sia quanto mai attuale. La consapevolezza che stiamo tutti in un comune destino e che le sfide del cambiamento globale con la sola contrapposizione di interessi, sia pur ben regolati, lasceranno troppe ferite a troppe persone, dovrebbe portarci a ripensare alla sua lezione che ha ancora molto da dire.

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