ALITALIA, DAL 2008 COSTATA ALLO STATO, AGLI ITALIANI QUASI 10 MILIARDI

Nelle ore in cui  EasyJet si tita fuori  dalla  “newco” che dovrebbe rilevare Alitalia, viene alla mente che nel 2008 il Governo Forza Italia Lega, guidato da Berlusconi, Ministro dei Trasporti Matteoli, bloccò la vendita per creare le premesse all'arrivo dei Capitani Coraggiosi.   

E se siamo ancora qui, se siamo ancora a parlare di Alitalia come di un gigantesco problema ogni tanto è utile ripercorrere la strada che ci ha portati sino qui.

La storia di Alitalia è la storia della nostra compagnia di volo di bandiera, ma anche di uno dei pozzi senza fondo nei quali sono finiti miliardi del debito degli italiani, per scelte politiche motivate per lo più da logiche di consenso, che sono costate dal 2008 complessivamente già 9,5 miliardi di euro  di risorse degli italiani.  

Era il 1947 quando la compagnia ha inaugurato il primo volo da Torino a Roma, portando in giro per il paese e poi per il mondo il suo brand e lo stile italiano. Lavorare per Alitalia era un vero affare, ma oggi non è più così: i benefit sono stati via via tagliati. 
Mentre gli affari sono iniziati ad andare male agli inizi degli anni Novanta. 
Le perdite si sono sommate di anno in anno. 
Uno studio di Mediobanca stima che dal 1974 al 2014 siano stati spesi 7,4 miliardi di euro di soldi pubblici solo per tenere in vita la compagnia.
Dal 2000 i conti peggiorano ancora. 
Prima l’attentato alle Torri Gemelle sferra un duro colpo al settore, poi l’arrivo delle low cost stravolge il mercato.

Ma l’accelerazione di problematicità fa data proprio a partire dal 2008 , quando cioè il Governo di centrodestra, Forza Italia Lega guidato da Silvio Berlusconi decise, per motivi tutti elettorali, di boicottare la vendita in corso ad Air France mettendo in pista un gruppo di imprenditori privati, i “Capitani Coraggiosi”, che attraverso la “CAI” (Compagnia Aerea Italiana) la società che doveva gestire il rilancio, non hanno invece ottenuto nessuno dei risultati attesi e hanno portato l’azienda di Fiumicino a gravare complessivamente, come detto,  per oltre 9 miliardi di euro sullo Stato.

Dopo la situazione creata dai capitani coraggiosi berlusconiani, nel 2015 una nuova speranza era arrivata da Abu Dhabi. La compagnia Etihad, controllata dagli emiri, entrava nell’azionariato con il 49% e prospettava una rivoluzione. Le hostess cambiavano la divisa, criticatissima, tornando a quella delle origini. I primi malumori iniziavano a farsi sentire dopo pochi mesi. 
Nel giro di un anno il rosso è di 1,3 milioni di euro al giorno.

Dal 2017 poi l’azienda era guidata dai commissari ai quali era stata affidata una dote di circa 900 milioni di euro, per rimettere in sesto l’azienda e poi per cercare un acquirente.

La “compagnia di bandiera” dà lavoro a circa 12mila persone e se si dovesse arrivare al fallimento e alla chiusura dell’azienda il loro costo per le casse pubbliche in termini di protezione sociale sarebbe altissimo. 

A fine 2018 erano in campo alcune offerte d'acquisto, che vedevano coinvolte EasyJet e Delta, ma negli ultimi giorni, dopo che con una lunghissima trattativa la nuova Alitalia voluta dal nuovo governo gialloverde sembrava aver consolidato il coinvolgimento di Delta Airlines, che sembrava però entrare senza troppa convinzione, ecco la notizia del defilarsi di EasyJet

Le ipotesi in campo vedono oggi la compagnia americana entrare con una quota iniziale minima, il 10%, sia pure con l'impegno a raddoppiare la quota in 4 anni, se saranno centrati gli obiettivi.

Dalle notizia circolate parrebbe che la nuova compagine possa quindi essere quasi tutta pubblica con Ferrovie dello Stato, che dovranno rilevare una quota pari al 40%, una partecipazione del 15% in mano al Tesoro, mediante la conversione di un prestito ponte, una partecipazione di Fincantieri per un 10-15%, ed un ulteriore  20% circa che il Governo dovrà ripartire presso alcune partecipate dirette o indirette, come Fintecna, Leonardo, ecc. . 

Quale che sia l’esito finale, sperando che sia comunque positivo, il dato su cui questa vicenda, pensando al 2008,  ci porta a riflettere, è su quanto il nostro Paese abbia già pagato per scelte motivate da sola ricerca di tornaconto elettorale.  

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