ARTURO PAOLI

- cenni biografici
- La mia identità l'hanno formata i poveri: (intervista di Patrizia Caiffa)
- la porta stretta
- il dramma dell'opulenza
- credere in Gesù vuol dire accettare di essere responsabili della società


CENNI BIOGRAFICI
Nato a Lucca nel 1912 è un religioso e missionario italiano, appartenente all'ordine dei Piccoli Fratelli del Vangelo. È Giusto tra le Nazioni.
Vive la sua infanzia e la sua adolescenza a Lucca; frequenta poi la facoltà di lettere di Pisa, si laurea all'Università Cattolica di Milano nel 1936.
Ha maturato, intanto, la vocazione alla sacerdozio; nel 1937 entra, già adulto, nel seminario della sua diocesi. Viene ordinato presbitero nel giugno 1940.
Il suo ministero sacerdotale non rimane confinato nel solo ambito religioso; negli anni della Seconda Guerra Mondiale in cui è ordinato, ben presto parteciperà alla Resistenza, dal 1943 in poi; collabora anche nel sostegno agli ebrei in fuga dalla persecuzione nazifascita.
Dopo la guerra, svolge il suo ministero a Lucca fino a quando, nel 1949, viene chiamato come viceassistente della Gioventù di Azione Cattolica presso la sede nazionale di Roma. Mons. Giovan Battista Montini (poi papa col nome di Paolo VI), intuisce le grandi qualità intellettuali di Arturo Paoli; tuttavia, il suo servizio nell'Azione Cattolica Italiana si scontra con i metodi e l'ideologia dell'allora presidente nazionale Luigi Gedda, braccio destro dei tentativi di "normalizzazione" di un'associazione, disciolta negli anni del fascismo, che esprimeva una vivace attività anche di carattere politico. Nel 1954, assieme al gruppo dirigente allora in servizio, viene dimesso dall'incarico, e nominato cappellano degli emigranti in Argentina.
L'incontro, sulla nave, con Jean Saphores, un Piccolo Fratello di Gesù che Arturo assisterà in punto di morte, lo spinge ad entrare nella giovane congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld e fondata da René Voillaume poco tempo prima. Vive il periodo di noviziato a El Abiodh, in Algeria; qui, per un certo periodo, ritrova il suo vecchio amico Carlo Carretto, anch'egli passato dalla dirigenza dell'ACI alla vita religiosa nel deserto del Sahara.
Dopo la professione religiosa, vive ad Orano dove, negli anni della lotta di liberazione algerina, lavora come magazziniere in un deposito del porto, secondo lo stile di vita della Fraternità. Nel 1957 rientra in Italia, ove a Bindua, in Sardegna, avvia una nuova Fraternità in solidarietà con i lavoratori delle miniere di carbone; il suo rientro in Italia, tuttavia, non viene ben visto dalle autorità vaticane, che temono una radicalizzazione della sua critica ai compromessi tra potere civile ed ecclesiastico.
Si trasferisce in Argentina, a Fortin Olmos, tra i boscaioli che lavorano per una compagnia inglese del legname. Quando la compagnia abbandona il territorio lasciando senza lavoro la manovalanza locale, Arturo organizza una cooperativa per permettere ai boscaioli di continuare a vivere sul posto; è uno dei primi scontri con le autorità politiche ed economiche del luogo. Nel 1969 viene scelto come superiore regionale della comunità latinoamericana dei Piccoli Fratelli e si trasferisce vicino a Buenos Aires. Qui, nel clima fervoroso del post-Concilio, a contatto con i novizi della fraternità inseriti in un quartiere popolare, comincia a delineare una personale teologia comprometida, preludio dell'adesione alla teologia della Liberazione. Nel 1971 si trasferisce a Suriyaco, (diocesi di La Rioja), una zona poverissima dove Arturo, oltre a proseguire la formazione dei novizi, inizia il suo sodalizio con il vescovo Enrique Angelelli, la voce più profetica della Chiesa argentina negli anni della dittatura militare. Angelelli, di cui diventa consigliere teologico, morirà tragicamente nel 1976 in uno strano incidente stradale che ancora oggi rimane avvolto nel dubbio, vista l'assenza di un'inchieste che facesse luce su quello che molti pensano sia stato un assassinio.
In Argentina, il clima politico dell'epoca peronista colpisce anche Arturo: accusato di essere un trafficante d'armi con il Cile (governato in quegli anni da Salvador Allende, destituito nel 1973 dal golpe di Pinochet), viene inserito in una lista di persone da eliminare, su di un manifesto affisso lungo tutte le strade di Santiago. Arturo in questo momento si trova in Venezuela, come responsabile dell'area latinoamericana dell'Ordine: avvertito da amici di non rientrare in Argentina perché ricercato, vi tornerà solo nel 1985; ha conservato così la vita, mentre cinque dei suoi confratelli, in Argentina, figurano tra i desaparecidos.
In Venezuela, si stabilisce prima a Monte Carmelo, poi alla periferia di Caracas; al lavoro di formazione e all'animazione ecclesiale e politica, unisce una crescente attività saggistica.
Successivamente, con l'allentarsi della dittatura militare in Brasile, si trasferisce dal 1983 a Sao Leopoldo, dove si occupa dei problemi legati alle donne, soprattutto prostitute. Nel 1987 si trasferisce, su richiesta del vescovo locale, a Foz do Iguaçu, nel barrio di Boa Esperança, dove costituisce una comunità, che sarà poi sostenuta dall' Associazione Fraternità e Alleanza, un ente di solidarietà con cui dare dignità alla popolazione emarginata; nel 2000, all'Associazoine si unisce la Fondazione Charles de Foucauld, rivolta in maniera specifica ai giovani poveri del barrio.
Dagli anni '80 e '90, rientra periodicamente in Italia, dove risiede a Spello, presso la sede dei Piccoli Fratelli, e in giro per il paese, con una grande attività di conferenziere su tematiche di spiritualità e di politica. Da dicembre 2006 è tornato nell'amata città natia, Lucca, ove risiede in una casa sulle colline. L'arcivescovo di Lucca, Mons. Italo Castellani, gli ha concesso, infatti, l'abitazione attigua alla chiesa di S. Martino in Vignale per creare una residenza aperta a gruppi e a singoli che vogliano sperimentare un cammino di discernimento personale.

A Lucca nel 1995 il sindaco Giulio Lazzarini gli consegna il Diploma di partigiano. Rifiuta, invece, la medaglia d'oro che annualmente la Camera di Commercio assegna ai lucchesi che hanno onorato la città nel mondo, in nome della solidarietà con gli oppressi del Sud del pianeta, e in contestazione con l'economia neoliberista che è alla base di tale sfruttamento.
Nel 1999 a Brasilia riceve, dall'ambasciatore di Israele, il titolo di 'Giusto tra le nazioni', per aver salvato nel 1944 a Lucca la vita di Zvi Yacov Gerstel e di sua moglie. Il nome di Arturo, "salvatore non solo della vita di una persona, ma anche della dignità dell'umanità intera", sarà inciso nel Muro d'Onore dei Giusti a Yad Vashem.
Il suo sessantesimo anniversario come sacerdote sarà festeggiato ufficialmente Il 9 febbraio 2000, a Firenze, su iniziativa del presidente della Regione Toscana Vannino Chiti, alla presenza del cardinale di Firenze Silvano Piovanelli e del rabbino di Firenze Yoseph Levi.
Il 25 aprile 2006, ha ricevuto la Medaglia d'oro al valor civile per le mani del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Nell'agosto 2006 ha ricevuto a Gemona del Friuli il Gamajun international award. Nel 2007 gli è stato conferito il premio internazionale "Viareggio"

Opere
La produzione di Arturo Paoli è vastissima. Tra i testi principali raccolti in volume:
· Dialogo della liberazione, Morcelliana, Brescia (1969);
· Gesù amore, Borla, Roma (1970);
· Cercando libertà. Castità obbedienza povertà, Gribaudi, Torino (1980);
· Tentando fraternità. Confronti-scontri con il Vangelo, Gribaudi, Torino (1981);
· Le palme cantano speranza. Lettere d'America Latina, Morcelliana, Brescia (1984);
· Facendo verità, Gribaudi, Torino (1984);
· Ricerca di una spiritualità per l'uomo d'oggi, Cittadella, Assisi (PG) (1984);
· Progetto Gesù: una società fraterna, Cittadella, Assisi (PG) (1985);
· Testimoni della speranza, Morcelliana, Brescia (1989);
· Il silenzio, pienezza della parola, Cittadella, Assisi (PG) (1994);
· Camminando s'apre cammino, Cittadella, Assisi (PG) (1994);
· Il sacerdote e la donna. Marsilio, Roma (1996);
· Un incontro difficile, Cittadella, Assisi (PG) (2001);
· Quel che muore quel che nasce, Sperling & Kupfer, Milano (2001);
· Della mistica discorde. L'impegno come contemplazione, La Meridiana, Molfetta (BA) (2002);
· La gioia di essere liberi, Messaggero, Padova (2002);
· Prendete e mangiate, La Meridiana, Molfetta (BA) (2005);
· Qui la meta è partire, La Meridiana, Molfetta (BA) (2005).
Scrive regolarmente per la rivista Rocca. Suoi contributi possono essere anche letti sulla rivista Ore Undici


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La mia identità l'hanno formata i poveri:
intervista ad Arturo Paoli di Patrizia Caiffa


"Giustizia" e "amore per i poveri" sono le parole che ricorrono più frequentemente nel parlare pacato e sereno di fratel Arturo Paoli, 88 anni di vita sperimentata nella sua essenza più profonda, sublimata nella relazione con Dio e con i poveri. Lo scorso anno è stato proclamato dallo Stato d'Israele "Giusto fra le Nazioni" per il suo impegno a difesa degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Il terzo segreto di Fatima. Cosa pensare? "La Chiesa cattolica ha sempre dimostrato, nei secoli, grandissima dignità e distacco nel giudicare le rivelazioni personali. Anche nei processi dei santi non le ha disprezzate ma non le ha nemmeno prese molto in considerazione, dando quel suggello di verità e autenticità che si dà invece alle verità rivelate. Al contrario la solennità che ha circondato la promulgazione dei segreti di Fatima ha dato l'immagine di una cosa seria, come fosse la Santissima Trinità. Si è andati oltre il livello in cui sono sempre state le rivelazioni private, che erano sì rispettate ma non considerate una promulgazione di fede davanti alla gente. Questo, secondo me, ha prodotto un effetto negativo sul pubblico: c'è in giro una specie di fede molto basata sul miracolo, sulle guarigioni attribuite a Santi o a persone speciali - quando invece il Vangelo parla con sobrietà e distacco dei miracoli di Gesù, che lui produceva per manifestare la presenza del Padre - con una carica emozionale intorno alla fede cattolica che non aiuta il suo progresso né la manifestazione del vero senso della fede, ossia quello di trasformare la società umana. Mi pare invece sia rimasta molto nell'ombra una delle più importanti indicazioni del Concilio Vaticano II secondo la quale il centro della predicazione di Gesù è il regno di Dio e la preoccupazione per la giustizia, la difesa dei vinti, degli oppressi. Questa dovrebbe essere predominante. Invece tutto si riduce a qualcosa di molto simile alla superstizione. E la gente che osserva dal di fuori la fede non la vede importante per la vita, non trova in essa il senso del vivere. Eventi come la rivelazione del terzo segreto di Fatima sono colpi di scena che attraggono l'attenzione sulla Chiesa, il Pontefice, utilizzando il metodo di questa società. Come con la pubblicità si cerca di attirare l'attenzione dei prodotti, anche la Chiesa usa lo stesso metodo. E' come una specie di febbre che porta a cercare sempre qualche idea nuova per mantenere viva l'attenzione sulla Chiesa. E io credo che questo dispiaccia molto alle persone che amano la Chiesa. E quando la Chiesa istituzione non lancia ponti ma si ritira, la sola possibilità che rimane è il dissenso. Perdendo in questo modo la possibilità di una critica costruttiva, di un contributo di pensiero che potrebbe dare il mondo laico. . .".
E della Chiesa di oggi?
"La scelta odierna della Chiesa è dal punto di vista strettamente spiritualista e della classe borghese. La spiritualità ufficiale che viene predicata, favorita, alimentata non è né per gli intellettuali, né per il popolo. E' per la classe borghese, la classe ricca, statica, quella che non si vuol muovere, quella che in fondo sente che la Chiesa deve essere al suo servizio, che anche Dio deve essere al suo servizio. Non c'è più un messaggio serio capace di essere capito dagli intellettuali e dal popolo. L'intellettuale non aspetta una spiegazione razionale ma la visione di una fede che abbia una efficacia storica sulla trasformazione del mondo. Il popolo aspetta la giustizia, la difesa dei suoi diritti, la solidarietà. Ma non c'è né l'uno né l'altro. C'è una cosa di mezzo che soddisfa la festa, il fasto, il bisogno di colori, di immagini, di esultanze, di trionfi. Tutto a misura di una classe borghese che non assume mai la realtà, la povertà della realtà, la sfida e le sofferenze della realtà, per vivere nelle novelle della televisione. . .dove entra anche la preghiera, la festa religiosa, ma tutto viene appiattito".
Ma se la Chiesa è ispirata dallo Spirito Santo e il Papa è il rappresentante di Cristo in terra. . . perché tutto ciò?
"Nella Bibbia il popolo d'Israele è stato scelto da Dio per essere il popolo testimone, quello che presenta al mondo il Dio vero. Eppure il popolo di Dio è pieno di prevaricazioni, di abbandoni, di tradimenti, di esitazioni. . . Il nuovo popolo di Dio presenta le stesse esitazioni, debolezze umane, fragilità, momenti di oscurità. . . Perché nella Bibbia si parla sempre dell'Alleanza che si rinnova? Di un Dio che ritorna di continuo? Perché c'è sempre questo tradimento o cedimento del popolo che non è all'altezza della missione che Dio gli ha affidato. Eppure Dio continua con la sua fedeltà. Questo è il grande mistero, che poi ognuno vive nella sua vita privata, quando ci chiediamo come sia possibile che Dio continui ad amare una persona indegna come me. . . Quando si vive questo nella propria esperienza personale non è strano veder succedere questo a livello macroscopico".
Parlaci della tua esperienza di fede. . .
"Durante l'esperienza della vita di fede ci viene tolta sempre più gradualmente la nostra iniziativa: nella relazione con Dio noi siamo totalmente passivi. Come posso io chiedere a Dio di ascoltarmi, di occuparsi di me? Non si può, Dio è sempre più in là. Però penso che Dio, vedendo la nostra debolezza, la nostra struttura umana, si lascia invocare, supplicare, accetta una relazione che è fatta più dall'uomo che da Lui. Dio accetta la rozzezza di questa relazione, prende sempre più posto dentro di te, ti fa rinunciare ai tuoi desideri personali, alle tue iniziative, ai tuoi sogni, ai tuoi progetti. E senti che tutto ciò che ti aiutava ad avere una relazione con Lui non ha più senso, perché Lui ti occupa completamente. Io ho cercato di essere sempre fedele a ciò che ci prescriveva la Chiesa nella preghiera, nella meditazione mattutina, ecc. Ora non potrei più perché dedico molto più tempo di quello che dedicavo nel passato a Dio. Ma è più ascolto che Parola. L'ascolto è nel deserto, non si ha più bisogno di ricorrere a santi, letture, parole o a un libro o alla spiritualità. L'ascolto ti blocca lì dove sei e ascolti senza sapere veramente cosa. Ma senti che ascolti. Ti apri. Se dovessi dire quali sono le parole della mia preghiera sarebbero: 'vieni' ed 'eccomi'".
Come fare per arrivare ad un ascolto così vero?
"Non saprei dirtelo. Forse Dio ha cercato di vedere nel mondo chi è il più bisognoso, come succede nelle famiglie dove si corre verso il figlio più debole. Forse Dio si è diretto verso di me per questo. Ho cercato di essere vero, di essere sincero. Siccome Lui abita tra i poveri - e di questo non ho alcun dubbio - forse mi ha visto aggirare tra i poveri e si è chiesto 'Chi è questo qui che visita le famiglie, che abbraccia il lebbroso? Facciamogli fare una particina nel mondo. . .' Mi ha scoperto tra i poveri perché lì sono andato con amore umano. I poveri ti provocano amore. Tutto quello che ho e che sono lo devo a loro, altrimenti sarei stato uno speculatore, uno di quei freddi teorici. . . Ma vista dalla parte dei poveri la Chiesa a volte fa soffrire molto. E' vero che il Papa ha mangiato con i barboni - e io sono sicuro che il Papa personalmente ama i poveri - però tutte le decisioni, tutte le scelte, sono contro i poveri, non tengono assolutamente conto delle loro esigenze, dei loro diritti. Nelle encicliche e nei discorsi sì, ma nelle decisioni pratiche, nell'esercizio della Chiesa, i poveri non hanno voce, non contano nulla. E dove non entra il povero Dio non entra. Possono dire quel che vogliono, possono fare statue d'oro, ma Dio non entra mai dalla porta dove non entra il povero".
Ma prima o poi si realizzerà una Chiesa dei poveri?
"Forse si realizzerà quando subentrerà una grande crisi, una débâcle come l'invasione dell'islam o qualcosa del genere. Questo perché gli eccessi di trionfalismo provocano sempre, quasi come un fenomeno storico, delle reazioni di rivolta".
Quali consigli dare ad un "cristiano qualunque" che voglia assumere pienamente la causa dei poveri?
"I poveri sono dovunque. Gesù ha detto 'i poveri li avrete sempre con voi'. Purtroppo la storia è sempre una relazione tra vinti e vincitori, tra schiavo e padrone. Bisogna mettersi dalla parte dello schiavo e dell'oppresso, anche politicamente. Un parroco deve guardare alla sua chiesa non dalla parte delle pie signore che lo circondano ma dalla parte dei poveri".
Eppure spesso ci si occupa dei deboli sono per fare bella figura, per assistenzialismo. . .
"Certo, e lì è il punto dolente. Non bisogna fare elemosina ai poveri ma fare in modo che formino la nostra identità. Loro me l'hanno formata. Io non vivo come loro, vivo umilmente ma mangio due volte al giorno, mi vesto, viaggio, ma la mia identità è in mano loro. Per descrivere questo Lévinas usa l'idea dell'ostaggio. Sembra un'idea astratta eppure è una realtà. I poveri danno tanto amore, fiducia, speranza, gioia, che non si trova negli altri ambienti. Lì ho trovato veramente Dio".
Si realizzerà un giorno un mondo in cui non ci saranno più poveri?
"Forse non ci saranno più miserabili economicamente, ma gli oppressi ci saranno sempre. La donna sarà sempre oppressa. Nella relazione uomo-donna la donna sarà sempre in una situazione di svantaggio per la sua stessa natura, l'essere legata così fortemente alla natura, che è la sua grandezza e la sua limitazione. L'uomo ha sempre l'impressione, anche fisicamente, di essere quello che guarda la natura dal di fuori, con la grande tentazione di usarla, di dominarla.
E la donna, anche se non lo vuole, è sempre legata alla natura. Non dovrebbe esserlo ma è dalla parte dell'oppresso perché l'uomo vede sempre la natura come qualcosa che l'attrae e che lui deve dominare. La relazione è invece lasciarsi attrarre non per dominare ma per mettersi in una posizione di umiltà, di gratitudine, dicendo all'altro 'tu mi dai la vita' non solo fisica ma anche spirituale. . ."
Perché la Chiesa è tanto impacciata sui temi che riguardano la morale sessuale?
"La Chiesa ha paura perché ha l'idolo del celibato, e non si preoccupa di come i preti vivono la sessualità. Ora un po' meno con le scienze attuali, ma prima la sessualità non esisteva e la repressione si manifestava con odio verso la donna. Fortunatamente la mia vita è stata un po' speciale. Io ho vissuto da laico fino a 25 anni, sempre in scuole miste, avevo numerose amicizie tra le ragazze. Queste esperienze sono state molto utili perché rompono quel mistero che si crea intorno alla figura femminile. Io ho sempre cercato l'amicizia con la donna, che per me è necessaria. E' diverso un amico uomo da un'amica donna, ti dà quello che l'altro non ti può dare".
Prima del Brasile dei poveri hai vissuto molto tempo nel deserto. Cosa ti ha dato questa esperienza?
"La vita contemplativa ti libera completamente dalla moralità. Non per dire 'fai quel che vuoi' ma perché ti mette in una sfera di libertà diversa. Un esempio: a 18 anni ho conosciuto Giorgio La Pira, che era veramente un mistico. Una cosa mi impressionò molto: lo andai a trovare che era ammalato e trovai seduta sul letto una ragazza che conversava con lui con tanta semplicità e purezza. Mi fece vedere ciò che io inconsapevolmente cercavo e che forse non avevo raggiunto, la relazione semplice, affettiva. E' stato un esempio migliore di quanto potevano darmi preti o altri discorsi: l'idea di una relazione trasparente. Un altro prete forse si sarebbe scandalizzato. Io capii subito il valore enorme di questa libertà. La vita contemplativa ti libera dalla moralità per metterti in una sfera diversa. La donna non è più la tentatrice, quella che devi sedurre o conquistare. E' la tua amica che quando ti apri ti dà delle ricchezze che tu non hai".
Quali sono le maggiori difficoltà nel lavorare con i poveri?
"L'impotenza assoluta e il vedere come siano sempre traditi da tutti. I poveri servono per esercitare le peggiori qualità dell'uomo: la furbizia, le dominazioni. . . come un sadico su un bambino. E si soffre nel vedere tutto ciò. Prima di venire in Italia sono andato a visitare dei sacerdoti dell'Idi (Istituto dermopatico dell'Immacolata) che hanno costruito un grande laboratorio di analisi in Brasile. C'era anche un medico tra di noi. Vedendo una stanza vuota chiese a cosa servisse. I religiosi dell'Idi hanno risposto che avrebbero messo lì due o tre letti per accogliere i poveri che venivano da lontano per fare le analisi. Il medico è andato su tutte le furie dicendo: 'Non sapete come sono i poveri, se vengono qui a dormire non se ne vanno più'. Allora mi chiedo: in città come le nostre, dove corruzioni e imbrogli sono all'ordine del giorno come si può negare ad un pover'uomo il diritto di stare alcuni giorni a dormire in ospedale? Questa cosa mi ferì profondamente. E' come quando i poveri ti rubano la bombola del gas e accade la fine del mondo. . . Anche i poveri hanno la loro dignità, noi non sappiamo cosa vuol dire passare dei mesi senza il gas, senza la possibilità di cuocere il riso. Invece i grandi furti vengono elogiati.
In un mondo così, dove trovare la speranza?
"Eppure i poveri ce l'hanno. La depressione non esiste tra i poveri ma tra i ricchi, tra chi ha la vita assicurata. Ai ricchi non manca nulla però devono andare dallo psicanalista. I poveri avrebbero tutte le ragioni per disperarsi eppure tra loro c'è sempre la speranza, la forza della vita, l'andare avanti perché il domani sarà migliore".
Cosa diresti ad un pessimista che pensa sia inutile impegnarsi "tanto le cose non cambieranno mai"?
"Gli direi: amico mio, io non so se le cose cambieranno, confido che prima o poi cambino, quando sarà non lo so. L'importante è che io oggi mi salvi, e se sono un uomo ingiusto, se non assumo la lotta per la giustizia, non sono un uomo, mi distruggo. C'è una forma di egoismo superiore che è salvare se stessi. Salvare se stesso non a danno degli altri ma per essere salvezza anche per gli altri".
Quali sono stati finora gli effetti della globalizzazione, soprattutto nel Sud del mondo?
"La globalizzazione ha cancellato tutto con una livella. Non esiste politica, idea, ma solo l'accumulazione, il denaro. Anche il Giubileo è entrato nella legge generale. I politici non sanno più dove è la destra e la sinistra perché non esiste politica ma solo il maneggio del denaro, per vedere se la nostra moneta regge. Anche la remissione del debito estero non serve se non sappiamo chi ne approfitterà. Il denaro dovrebbe servire per le spese sociali, quei servizi a cui il popolo ha diritto e che non può pagare. Se si mandano soldi là o si condonano ne approfitteranno sempre quelli che sono ricchi, quelli che dominano".
Il capitalismo sta dando segni di cedimento?
"Il capitalismo deve finire, non c'è dubbio. Deve finire perché è contro natura. E' come se in una famiglia entrano due milioni al mese che devono servire per le spese di mantenimento, la spesa, lo studio, ecc. Se invece io riservo 300.000 lire per mangiare e il resto lo investo perché i soldi devono aumentare, fruttare, si crea una conduzione innaturale della famiglia. Lo stesso succede nella società. I soldi vengono distribuiti sempre meno e sempre più accumulati. Alla fine soffocano, necessariamente".
Il dialogo tra le religioni riuscirà a cambiare qualcosa nel mondo?
"Intanto viviamo in una società pluralista. O ci facciamo guerra oppure dobbiamo metterci d'accordo. Saranno messi in valore quegli aspetti della nostra fede che possono essere armonizzati nel dialogo. La responsabilità verso gli altri, la giustizia, questi linguaggi ci faranno sentire più affini le altre religioni. MI sentirei più vicino ad un musulmano che crede in questi valori piuttosto che ad un cattolico che vive egoisticamente e pensa alla sua fede come salvezza personale ma non è interessato agli altri. Il pluralismo non è solo accettazione dell'altro. E' messa in discussione di quegli elementi comuni nelle diverse fedi, poi ciascuno sarà ispirato da una fede o dall'altra. Quindi avranno sempre meno valore i culti in sé. Tutto questo finirà, deve finire".


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LA PORTA STRETTA
Anno C - 26 agosto 2001 - XXI Domenica del Tempo Ordinario
(Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30)


"Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio"

Penso che il mondo sarebbe migliore se in tutte le omelie si avvertissero i fedeli che partecipano all'assemblea domenicale di abbandonare il vezzo diventato quasi spontaneo di pensare che il Vangelo sia diretto agli altri. Cioè applicare le parole di Gesù alla suocera, al macellaio, al comunista, all'albanese o al marocchino. Credo che il vero successo, la vera conversione di una comunità cristiana, specialmente quella che partecipa ai ritiri e che si propone una specializzazione nella spiritualità, sarebbero raggiunti se ciascuno tornasse a casa con questa convinzione: a me, proprio a me, e solo a me, Gesù oggi rivolge queste parole. Il vezzo di scaricare sugli altri accuse che vogliono svegliarci perché finalmente mettiamo la mano all'aratro non è solo nostro, del nostro tempo. Nel capitolo undici c'è un passaggio nel quale Luca coglie la mentalità religiosa corrente. Ascoltando Gesù che inveisce contro i farisei, un dottore della legge si sente assalito da un pensiero: "Io non sono del club dei farisei, ma sono vicino a loro, non sarà che entro anch'io nella condanna?". E con una certa timidezza si rivolge a Gesù: "maestro, dicendo questo offendi anche noi" (Lc 11,45). Sta attento con le tue scudisciate a non ferire qualche innocente. Ma il maestro rincara la dose: "guai anche a voi". Non si scappa. Ognuno prenda il suo. Da questi squarci di indignazione appare chiaro che Gesù non è un moralista. Il moralista mette la persona a confronto con la legge, e normalmente scarica sulla persona un complesso di colpa. Se vuol liberarsi deve tornare, e si crea un vincolo di dipendenza fra maestro e discepolo, o per essere più precisi, fra terapeuta e paziente, che difficilmente si spezza. Gesù colloca la persona religiosa davanti alla decisione: o ti impegni o te ne vai. Non mi far perdere il tempo. Il giovane ricco vuole andare a scuola di spiritualità. Come fare per essere più buono, tu che sei buono devi avere la ricetta. È come la signora che vede un'amica con una pettinatura perfetta e le chiede l'indirizzo della parrucchiera. Ma Gesù non ha formule e mette subito il giovane di fronte alla decisione. E lui parte. Anche questo insuccesso illumina lo stile di Gesù: non mette il laico in uno stato di dipendenza, ma di fronte a una libertà di scelta. O ti decidi o te ne vai; a Gesù non piacciono le persone incapaci di decidersi.
L'altra maniera per sfuggire al colpo di spada è quella di indugiare su un'esegesi scientifica della Parola. In questo brano Gesù parla di una porta stretta, evidentemente è la porta del paradiso. Allora saranno pochi quelli che si salveranno? C'è chi dice molti, chi dice tutti e c'è chi ha visto scendere all'inferno tanta gente come fiocchi di neve. E così andando dietro alle diverse opinioni si specula, si indaga, si rimanda la decisione. Ma, benedetti discepoli di Gesù, pensate qui, all'oggi: la porta stretta è lo straniero che disprezzate, sono le occasioni quotidiane che vi disturbano, che vi obbligano, che scomodano il vostro io che preferisce la calma e le pantofole. Martin Buber ha detto che l'ebreo è colui che vive la sua vita allo scoperto, sotto lo sguardo di Dio, Gesù, non dimentichiamolo, è ebreo. Davanti a tanti rifiuti nascosti sotto le apparenze di docilità e di obbedienza alla Parola, Gesù finisce per dirigersi agli ultimi, agli esclusi, ai disprezzati. Davvero ti sei ricordato di noi? Davvero vieni a trovarci nelle cloache dove ci hanno spinto a vivere? Possibile che ti lasci toccare da questa fetida prostituta? E sarà questa sorpresa, questo accorgersi improvvisamente che avviene l'incredibile, ciò che mai si sarebbe osato sperare, la risposta unica che Dio attende dall'uomo.

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IL DRAMMA DELL'OPULENZA
Intervista ad Arturo Paoli di Alberto Bobbio

tratta da Jesus (www.stpauls.it)

Cosa succede se la Chiesa diventa troppo "organica" alla logica delle società capitalistiche occidentali? Trascura i poveri e perde coraggio e radicalità nell’annuncio del Vangelo. Un profeta dei nostri giorni analizza lo stato di salute di una comunità ecclesiale che corre il rischio di essere molto "visibile" e potente ma poco autorevole.

Lui dice che basta guardarsi in giro per persuadersi che i risultati di una società fondata sull’egoismo sono disastrosi. Ed è anche convinto che lo saranno sempre di più. «A meno che…».
Arturo Paoli, 90 anni, una vita intensa di prete e di profeta, erede di Carlo Carretto (2 aprile 1919 - 4 ottobre 1988) tra i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, "Giusto delle nazioni" per Israele per aver salvato la vita a un ebreo a Lucca nel 1944, sacerdote da 62 anni, scrittore e conferenziere in tutto il mondo, uomo che da 40 anni condivide la vita con i boscaioli, i contadini dello Stato del Paranà in Brasile, spiega cosa ha guidato la sua vita e cerca di spendere qualche parola sulla fede in questa intervista che è un po’ come un testamento. Il nostro incontro con Arturo Paoli prende le mosse da un libro, l’ultimo dei suoi, intitolato Quel che muore, quel che nasce (Ega, lire 22.000).
· Cominciamo da quell’"a meno che…". Cosa vuol dire?
«A meno che non prendiamo su di noi il peccato del mondo. Concretamente, senza pensare che il raddrizzamento delle situazioni che non vanno, insomma che la redenzione dell’umanità, sia qualcosa affidata, come si diceva, al sangue di Cristo. Bisogna lasciarsi guidare dai volti delle persone, bisogna andare nei sotterranei della Storia dove vivono le persone. Dobbiamo occuparci delle vittime e non gioire per la bravura dello stratega».
· C’è troppa angoscia in giro oggi?
«Sì, angoscia e paura. Ossessioni. Siamo ossessionati dal denaro, dal sesso, dal gioco e anche da santi buoni e un po’ antichi che pensiamo ci possano risolvere tutti i problemi. Compreso quello della nostra sicurezza. In ogni campo. Ma la nostra angoscia più grande è data dalla incapacità, che ci rode dentro, di prevedere il futuro. Facciamo finta di essere spavaldi, perché non riusciamo a calcolare tutto. Umberto Eco ricorre alla fantascienza per pensare, solo pensare, al futuro»
· Come si fa a guardare nei sotterranei della Storia?
«Ci si riesce solo se al centro della vita il cristiano mette il Regno di Dio e non se stesso. Insomma facendo quello che coerentemente ci consiglia il Concilio Vaticano II. Bisogna far sparire l’io come preoccupazione personale, che provoca angoscia. Quanti sono quelli che credono che lo Spirito agisce nella Storia e la trasforma? Quanti credono al Vangelo che dice "chi vuol salvare la propria anima la perderà"? È un tema centrale perché rimanda alla polemica che Gesù ha aperto con il mondo religioso della sua epoca. Gli ebrei rimandavano continuamente al passato, ad Abramo, a Mosé, ai profeti. Lui no, si occupa delle persone. Dice che Dio è qui davanti a voi: il povero, la vedova. . . La carità non deve servire a me, non è un rimedio alla mia angoscia. Perché si può essere caritatevoli senza essere giusti, se si mantengono le distanze».
· La Chiesa è responsabile di una religiosità della distanza?
«Certo. La Chiesa – non tutta – ha ritirato Dio in cielo. Dice agli uomini: consolati, il Regno di Dio è vicino. Nelle omelie dei preti si parla di cose lontane. I sacramenti sono parole e non simboli. Dov’è lo Spirito che sprona a fare? Il Vangelo ha raccomandato l’annuncio attraverso la persona, non attraverso le parole. È la persona che parla. La parola è solo rimedio d’emergenza. Se la mia vita non testimonia, io non posso neppure parlare».
· Come sta la Chiesa?
«Male. Non ha seguito fino in fondo l’ordine dello Spirito Santo e del Vangelo. Il centro della predicazione si è spostato: dal Regno di Dio alla visibilità della Chiesa, alla sua grandezza, al suo potere. Parla molto la Chiesa, scrive molto. Non si può dire che non si occupi dei poveri: mai sono state prodotte tante parole sull’argomento, mai tanti documenti. Viviamo una religiosità opulenta, anche dal punto di vista intellettuale. Sappiamo come affrontare i problemi, sappiamo come risolverli, da soli, sempre da soli, senza contare sugli altri. I poveri, i barboni, gli esuli, cosa contano per me intellettuale, per la mia teologia, per la mia pastorale? Il Vangelo è ridotto a manifestazioni rituali o metafisiche. Voglio fare una provocazione e dire ai credenti: spogliatevi anche della vostra fede e allora comincerete a capire cos’è la gratuità».
· Ma tutta la Chiesa è così?
«Non tutta. Nei Paesi poveri modelli di Chiesa diversi sono stati soffocati, ma non distrutti. Alla Chiesa era stata servita su un piatto d’argento la teologia della liberazione, ma è stata rifiutata. Ripeto: soffocata, non distrutta».
· Eppure la riflessione attorno a un nuovo umanesimo è stata portata avanti…
«E con grande forza, per esempio da Giovanni Paolo II, soprattutto negli ultimi anni in modo profetico. Ma la Chiesa è troppo legata all’Occidente. Ha dovuto mantenere buone relazioni con il capitalismo. Gesù dice che saremo giudicati non sull’obbedienza, ma se l’avremo visto nudo, affamato, prigioniero, schiavo. Tutto lì. Vederlo sta solo a me».
· Lei è dunque contro la Chiesa, i suoi dogmi?
«No. Per me l’obbedienza non è un problema. Ma dico che il concetto di "santo" non coincide necessariamente con "religioso". Il giudizio va dato sulla costruzione del Regno di Dio: beati i poveri, i miti… Io sento che sarò giudicato su questo, non sul devozionalismo, che in questo secolo non ha impedito guerre e sangue. È sull’uso della mia libertà che mi si chiederà conto. Se uno risponde "Eccomi", è santo. Diventare santi è drammaticamente difficile appunto per l’estrema semplicità della risposta. È difficile obbedire a Dio piuttosto che agli uomini».
· La Chiesa tuttavia oggi è molto visibile, di essa si parla e si scrive. Allora cosa c’è che non va?
«La Chiesa gode di grande prestigio. Vorrei dire che il carisma del prestigio è sceso sugli Stati e sui popoli. Molti stanno ad ascoltare le parole del Papa. Molti restano ammirati dalla sua figura e dalle cose che dice. Ma la disobbedienza formale e la noncuranza rispetto ai suoi insegnamenti è enorme. Nella Chiesa quelli che prendono sul serio la responsabilità di fare la giustizia, di difendere il diritto dei poveri, molto spesso vengono emarginati. E di solito fanno molto meno di quello che è scritto nei documenti. Prenda il Brasile, Paese visitato tante volte dal Papa: che riscontro hanno avuto le sue parole forti sulla giustizia, sulla distribuzione della terra, sui popoli oppressi? Zero. Chi oggi è convinto che amore per gli altri significa uso sobrio dei beni? Molti credenti nel mondo praticano una buona spiritualità individuale, ma poi sono assolutamente sfrenati nell’uso del denaro, anarchici nell’uso dei beni. Non si può giustificare il primato di Dio, sopra tutti gli altri diritti».
· Parliamo del Concilio. Perché lei spesso dice che è stato tradito?
«È stato il Concilio Vaticano II a richiamare i credenti sulla centralità del Regno di Dio e sul ruolo dello Spirito Santo. Il Concilio ci ha chiesto di aprire le porte e non soltanto di parlare di Dio, ma di camminare con gli uomini, di affermare il diritto a una vita piena, di esaminarci in base alla giustizia o all’ingiustizia. Non ci ha insegnato a consolarci con la religione. Quando Gesù va via da Nazareth non si mette a fare il guru, non va nel tempio di Gerusalemme ad ascoltare, ma ad attaccar briga, dando la prova tremenda del suo unico interesse: costruire il Regno di Dio. Noi invece ci ritiriamo sul culto, a volte in modo narcisista».
· Ma le responsabilità sono dei preti o dei laici?
«Di entrambi. Cominciamo dai preti, che sono educati secondo forme rigidamente borghesi. I preti – non tutti – stanno troppo bene. Si occupano di sé stessi. C’è troppa paura di perdere vocazioni. Vengono allenati ad avere coscienza di sé, a essere altro rispetto al mondo. Ecco l’insistenza sul sacramento dell’Ordine che vale di più di altri sacramenti, compreso quello del matrimonio. Stanno chiusi nei seminari e vanno nel week-end nelle parrocchie. Io domando: quando si calano sulle piaghe di Cristo? È sicuramente migliorata la formazione intellettuale. Le omelie sono più colte, più dotte che in passato. Ma sono spesso anche più lontane dalla vita reale che nel passato. La Chiesa ha come paura di essere invadente, di essere esigente. Non si può dire che i giovani rifiutano la Chiesa. Se si analizzano le cose in profondità, si vede che essi non capiscono, non ci comprendono. Dio non c’è nel loro orizzonte».
· E il laicato?
«Manca di audacia. Passa da un ritiro spirituale a un altro, ma poi non si interroga sulla propria responsabilità davanti alla società. Non si può essere contro la manipolazione della vita, contro una bioetica sbagliata, e poi dichiarare valido il sistema economico che arriva a queste aberrazioni, quello che succhia il sangue dei poveri, che è la benzina di cui ha bisogno il nostro mondo troppo ricco per vivere. Vogliamo una società nuova, ma poi applaudiamo al politico di turno. Siamo troppo miopi, non siamo capaci di guardare avanti. Il laico che vive la sua responsabilità politica con autonomia, sapendo che di essa deve dar conto solo davanti a Dio, oggi è scomparso. Naufragate le ideologie, il laicato religioso è stato inglobato nella Chiesa, che ne ha marcato la clericalizzazione».
· Lei quali esempi indica?
«Ho ammirato De Gasperi, La Pira, Dossetti come cattolici. Uomini che sapevano distinguere l’area religiosa da quella politica e la propria autonomia e responsabilità dall’obbedienza dovuta alla Chiesa. Uomini che erano convinti di rispondere al Vangelo e non al prestigio della Chiesa nel Paese in cui abitavano. Dov’è finita la tradizione che loro hanno incarnato? Il laico credente – uomo o donna che sia – non deve rifugiarsi sotto le ali della Chiesa per stare al caldo e dimostrare che sa fare. Ha una responsabilità adulta, libera, autonoma, di rendere il mondo più umano della quale risponderà solo a Dio».
Alberto Bobbio



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La fondamentale trasgressione che Gesù rinnova attraverso i discepoli è il passaggio dalla legge allo Spirito
Dopo questo spazio di tempo non storico, la storia può riprendere il cammino dalla parte offesa, dalla parte di tutte le vittime di questa guerra condotta col denaro e con le armi. La ripresa del cammino storico appare chiara perché corale. Lévinas ha definito la modernità come la fine della filosofia. Il vuoto è stato occupato dalla globalizzazione come tecnocrazia, consumismo, sospensione dell'agorá soffocata dal rumoroso concorso di voci e di immagini massmediatiche, molte voci per soffocare la parola. L'attuale società in un frenetico movimento e allo stesso tempo morta, ora si ritrova a un punto di partenza semplicissimo: il volto sfigurato dell'uomo che rivolge al piccolo resto un richiamo: tu non mi ucciderai! La domanda che nasce spontanea nel cuore di un cristiano credente è: avranno i responsabili del popolo di Dio l'umiltà e il coraggio di restituire il Cristo all'umanità? Di capire che il riconoscimento che Egli vive, che è nuovo, che è giovane, non deve venire solo dalla fede, ma dal bisogno reale dell'umanità, dal suo grido senza parole che ricorda quello del popolo oppresso dal faraone. Dovremmo chiedere alle guide del popolo di Dio di perdere il vezzo di rifiutare fatti nuovi classificandoli con nomi antichi, come arianesimo, pelagianismo, adozionismo, ecc evitando così la fatica di conoscere più a fondo i contenuti del divenire storico. Oggi è necessario ascoltare la profezia e andare dove zampilla: i profeti di ogni tempo non vivono nelle regge e non vestono gli abiti dei principi. La scoperta del Cristo vivente oggi non è quella stessa dei pensatori di altre epoche. Il desiderio di Asor Rosa di togliere i chiodi al crocifisso e di rimetterlo sulla strada non è quello di Renan o degli scrittori russi del secolo passato. Certe espressioni che ascoltavo in seminario mi facevano la stessa impressione che mi fa oggi la parola terrorismo, che spaventa la società attuale e nello stesso tempo la tranquillizza, sapendo di che si tratta. Liberateci il Cristo non vuol dire oggi che voi lo avete travestito da Dio mentre Egli è stupendamente uomo. Vuol dire soprattutto che, se vogliamo passare da spettatori e consumatori ad attori e costruttori del nostro oggi, è necessario riscoprire il senso del discorso programmatico pronunziato da Gesù nella sinagoga della sua città. Sono stato mandato ad annunziare la buona notizia ai poveri, a liberare gli schiavi. Che vuol dire oggi liberare l'umanità dalla schiavitù del consumismo, della tecnocrazia, dell'idolatria di mercato, dei folletti della borsa. E in questo avvio della storia, la cui energia è il bisogno urgente e concreto, incontriamo moltissimi credenti responsabili che credono a quell'identità che il Maestro conferisce ai settantadue inviati ad annunziare la pace (Luca 10).
Proprio perché sappiamo di dover dire all'arrivo la semplice parola pace e che questa parola può essere efficace solo se pronunziata nello Spirito di Gesù, non possiamo non essere trasgressori come Lui. Non possiamo non essere trasgressori di un catechismo esteso in ottocento pagine, che disperdono la trasparenza e la semplicità del messaggio di pace. Non possiamo non essere trasgressori di alleanze con persone e con metodi che sono chiaramente la parte che opprime, quella da cui dobbiamo affrancare gli schiavi. Non possiamo non essere trasgressori del metodo di mettere vino nuovo in otri vecchi e mi riferisco a quell'immenso lavoro di rinnovamento del metodo pastorale, dell'annunzio del vangelo, della vita religiosa, della formazione dei ministri, che viene presentato come vino nuovo che regolarmente rompe i vecchi otri e si spande nel suolo. L'umanità ha bisogno di un impianto nuovo, di una nuova venuta del Cristo affidata non più alle carte né alle istituzioni, ma alla persona. Le ultime parole che ci ha lasciato il monaco Benedetto Calati sono una profezia: il futuro del mondo è dei contemplativi. Questi sono quelli che affidano all'umanità del loro tempo il Cristo atteso non soltanto attraverso la parola, ma soprattutto attraverso il loro esistere. "Beato il ventre che ti ha portato e le mammelle che ti hanno dato il primo alimento" grida una donna a Gesù. "Che bello, che giocondo che tu sia qui fra noi, come ci sentiamo sicuri pensando che tu sei tornato"

La fondamentale trasgressione che Gesù rinnova attraverso i discepoli che continuano la sua presenza nel tempo, è il passaggio dalla legge allo spirito. Si può rappresentare come il passaggio raccontato nell'incontro col giovane ricco (Luca 18). Una relazione in cui la persona è al centro e attraverso una volontaria obbedienza ai precetti della Legge, raggiunge una certa libertà di azione. L'obbedienza alla legge è come possedere una tessera che dá diritto ad entrare in un club di gente rispettabile: non si chiede al socio altro che l'osservanza dei divieti statutari e l'adempimento delle regole che garantiscono ai membri della comunità un'identità comune e allo stesso tempo la rispettosa distanza dal progetto di vita individuale. Il giovane ricco non si era mai sentito questionare sulla sua vita privata. Fino all'incontro con Gesù ha rigorosamente osservato il regolamento, tutto a posto. È così seria la sua vita, così dignitosa, che Gesù si ferma un istante ad osservarlo: è un bel tipo umano, vediamo se è pronto per la trasgressione: liquidare tutto e venire dietro a me. "Esiste una forma empirica di separazione per la quale l'individuo si raccoglie nella sua propria interiorità e, per sviluppare la felicità, si mette, in certo senso, al riparo del mondo". (S. Natoli). Se trasportati in spirito sul colle Vaticano potessimo vedere in un istante il miliardo di cattolici, le comunità religiose maschili e femminili, i seminari laicali, tutti i buoni dispersi nel mondo, rivedremmo lo sguardo compiaciuto di Gesù, ma immediatamente egli dirigerebbe lo sguardo sul mondo in cui vivono questi suoi seguaci e lo sguardo si farebbe triste: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti!".
La trasgressione essenziale di cui ha bisogno il mondo è legata all'identità stessa del Figlio dell'uomo. Il vieni e seguimi non è un invito geografico, è la richiesta di un dono di sé all'umanità che rinnovi nella propria carne il dono di Gesù: prendete e mangiate. E questo senso è racchiuso nel termine contemplativo. L'affermazione si muta in domanda. Che vuol dire contemplativo? La risposta ci dirigerebbe immediatamente verso quei luoghi dove vivono coloro che hanno scelto un tipo di vita contemplativa. Non è detto che non vi si trovino persone che hanno raggiunto lo status del contemplativo, ma non è così sicuro che la scelta di una comunità di vita contemplativa assicuri che la persona lo diventi. Si possono dare definizioni molteplici e non possiamo affermare che i contemplativi si trovino solo nell'area religiosa. Contemplativo può essere un pensatore quando è onesto, e non dimentica la sua responsabilità di fare del male costruendo progetti non ispirati alla giustizia, al bene comune, alla saggezza, ma che sono espressione dell'ambizione di mettere in mostra la forza del proprio pensiero, la capacità di sfidare i rivali piuttosto che fare avanzare l'umanità verso la giustizia e la pace.
Limitandomi al mondo religioso, si può definire il contemplativo la persona che riproduce il modello Gesù, la docilità e l'obbedienza del Figlio, quella capacità di stare al mondo senza nuocere ma al contrario facendo il bene e aiutando i fratelli ad avanzare verso più giustizia e più pace e conseguentemente verso la vera felicità di vivere. Per questo riceve uno sguardo particolare che si posa sulle cose e sull'agire umano giudicandolo sulla base della verità che non può essere mai assoluta e definitiva. Il criterio che guida la sua vita è raggiungere quell'unità interiore che vuol dire armonia conquistata sulla disarmonia che il peccato mette tra le cose e fra gli uomini. Per cui il contemplativo, fra le vicende conflittuali e l'aggressione permanente delle novità prodotte dalla tecnica o dal pensiero umano o dalla tecnica politica, mantiene il dono della pace perché ha raggiunto una soglia che non può essere oltrepassata dalla menzogna. Questa capacità di sguardo, questa luce che illumina la realtà, spogliandola di quel senso di cui viene rivestita per saziare interessi e passioni, è profezia e speranza. Visione permanente anche se oscura, che tutte le vicende cosmiche sono avvolte dallo Spirito che tutto contiene. E per questo è l'annunziatore della speranza contro ogni speranza. Il contemplativo cristiano è assolutamente necessario al mondo ed è continuatore di Cristo senza mai averne piena consapevolezza. Paolo racchiude questo mistero nelle parole rivestitevi di Cristo. Il contemplativo ha la consapevolezza permanente dell'Altro che vive in lui, allo stesso tempo muore il dualismo di anima e corpo perché raggiunge una unità interiore impossibile all'essere umano.
Nell'Arcipelago, il libro in cui Cacciari passa in rassegna i mostri creati dall'occidente super razionale, il filosofo finisce col mettere in scena l'oltreuomo, ed è un presagio: l'oltre opposto al super, al più brutto assassino di Dio, opposto anche al cum, e il riferimento è di quelli che cercano gli altri per sicurezza, per difendersi dalla paura. Il contemplativo che si presenta allo sguardo morente del monaco Benedetto è questo oltreuomo indefinibile: L'inaudito consiste nel fatto che Dio rivela proprio se stesso come straniero: "Ero xenos, straniero, e mi avete accolto (Matteo 25,35) Ero hóstis e mi avete ospitato". Così Lui si presenta come straniero, come il dissimile - e chiama per essere riconosciuto in tale aspetto, non malgrado esso. Egli si ri-vela pertanto nel senso letterale del termine: si mostra proprio nell'aspetto dell'Altro. Solo tramontando da ogni fissa identità egoistica, è pensabile una tale amicizia stellare. Il Vangelo ripete questa idea come il proprio inaudito - e che al tramonto occorre in ogni modo affrettarsi, non ritardarlo. Il Vangelo è martellato da questa domanda: Chi sei Tu? È straniero al mondo, è lo Straniero. (Cacciari). Questa riflessione richiama alla mia mente un pensiero cui torna varie volte la mia maestra Teresa d'Avila distinguendo coloro che vivono l'esperienza del mondo invisibile e colgono i messaggi dello Spirito, dai "dottori" che hanno la capacità di metterle in parole comprensibili, oggi diremmo di tematizzarle. Le parole di Cacciari descrivono l'esperienza di alcuni credenti, se pochi o molti non saprei dirlo. Ci sono, solo questo si può affermare con assoluta certezza. Sono quelli che vivono misticamente la situazione dello straniero attuale, quello che arriva alle nostre spiagge e non sa di essere il portatore dello Straniero e su lui si accumula la povertà e la persecuzione dello straniero; è quel Gesù che viene come è scritto su alberi e su muri accanto a simboli di culti di morte. E ci sono quelli che senza essere nella condizione fisica degli stranieri, portano nella loro esistenza questa miseria dell'identità del Figlio dell'uomo.

C'è un grande silenzio in questo momento storico dell'occidente (il Papa ha parlato del silenzio di Dio). "L'uomo superiore vuole tramontare; a questo oriente tien fermo: al proprio tramonto. Non una via vi conduce, non un metodo. Il tramonto di tutte le figure, e i viaggi e i naufragi che l'uomo superiore ricorda e compendia in sé, è il luogo dove può apparire, non giungere, dove può darsi, non essere prodotto, ciò che assolutamente si distingue dalla historia fin qui ricordata, e dunque ciò che è assolutamente irrappresentabile nei suoi confini" (Cacciari). Non è l'attesa di un Deus ex machina quella descritta dal filosofo veneziano, sono piuttosto le parole di Giovanni che diventano luminose della luce dell'oggi: in mezzo a voi esiste Qualcuno che voi non conoscete (Giovanni 1,26). Lo straniero è qui in mezzo a noi ed è un fatto reale, doloroso, enigmatico, controverso: "Egli è lo Straniero, di più: l'Abbandonato, la creatura in esilio, che tuttavia ospita, che trae dal suo essere in esilio l'energia del più perfetto ospitare. Come imitarlo? Soltanto questo possiamo dire: che la sua figura è il contraccolpo a tutte quelle dell'ultimo uomo, l'impossibile per loro e a partire da loro". Chi ha ispirato al filosofo non credente, o piuttosto non religioso questa descrizione del portatore dell'oriente, di colui che porta la certezza che dopo la morte di questo periodo storico si deve attendere una vita nuova? È arrivato certamente a lui quel vento che gli ha raccontato che qui oggi quello che doveva avvenire è avvenuto. Come sempre questa voce non può essere captata da quelli che cercano definizioni precise e certezze assolute, tutto quello che chiamano verità. Furono le figure indefinibili dei re magi che rievochiamo fino ad oggi come esseri di fiaba, o gli ultimi, i pastori, quelli che portano sulle loro spalle il peso del dolore umano, sono i contemplativi, misteriosa sintesi degli uni e degli altri, i soli capaci di cogliere questa voce.
Arturo Paoli


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Credere in Gesù vuol dire accettare di essere responsabili della società

Non potete immaginare la gioia che ha prodotto in me la notizia di questa vostra riunione su un tema che mi ha appassionato fin dalla lontana gioventù: fede e politica. La ragione di questa gioia va ricercata nel momento storico che stiamo vivendo che è un momento di profonda crisi. La parola crisi non è del tutto negativa, certo indica che qualcosa non va; ma significa anche che ci stiamo accorgendo che non va, e abbiamo deciso di fermarci per vedere quali decisioni prendere per trovare qualcosa di meglio. Da qualche anno ho rinunziato a leggere libri di teologia, materia che mi appassiona, e mi sono dedicato alla sociologia cioè alle analisi della società perché, tenendo sempre presente che Gesù ha lasciato nella mano dell'uomo, di tutta l'umanità il suo progetto che i Vangeli chiamano Regno di Dio, un suo discepolo non può dire di amare Lui senza prendere a cuore il progetto che non è un'azione compiuta nel tempo ma è tutto e unico senso della sua vita. E la storia di questo Regno si svolge nel tempo e nella società, nella polis in cui ci troviamo a vivere. Quanto più amiamo Gesù tanto più ci appassioniamo per il Regno di Dio e viceversa, dedicandoci al Regno con una passione che cresce nel tempo, sempre più ci appassioniamo della sua Persona. E se questo Regno si fa nella società, mi sembra addirittura ovvio che conosciamo il meglio possibile questa società. Oggi - e vedo questo come un segno dei tempi e un aiuto dello Spirito Santo, gli studi e le analisi della società sono numerosissimi. Solo in questo ultimo mese ho letto due libri, e non crediate che passi le giornate a un tavolo di studio.
La vostra riflessione su fede e politica è oggi di una importanza essenziale e urgente e cercherò di chiarirlo. Cominciamo dalla fede. La nostra fede si dichiara come seguimento di Gesù. E Gesù manifesta il senso della sua vita, del suo essere al mondo nei pochi versetti ripresi da Isaia e riportati nel Vangelo di Luca al quarto capitolo:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi
e predicare un anno di grazia del Signore.
Che poi la Chiesa con la collaborazione dei teologi e dei mistici svolga gli altri molteplici sensi racchiusi nella persona di Gesù, non resta per questo offuscato questo senso che con la sua bocca il Figlio dell'uomo ha dato alla sua pratica di vita. Oggi i sociologi hanno trovato e riabilitato una parola che rappresenta bene la vita di Gesù. Gesù è un trasgressore. Giovanni Paolo II in un discorso tenuto in Messico nel primo anno di pontificato definisce Maria modello di coloro che non accettano le circostanze avverse della vita personale e sociale (discorso raccolto nel documento di Puebla) e questo significa la parola trasgressore. E la trasgressione è un atto politico cioè mi metto contro le forme di schiavitù (liberare i prigionieri, tutte le forme di ingiusta ripartizione dei beni, mi schiero con i poveri cioè con gli esclusi, dal diritto sui beni che sono per tutti. E questo progetto è intrinsecamente politico. Cacciari mette di fronte due parole grache oikos e polis. Oikos è la casa, la famiglia, il collettivo-personale, polis è il collettivo-sociale. Tutte le parole del programma di vita di Gesù si rivolgono alla polis collettivo-sociale, alla sistemazione della società, a quello che entra nell'ordine che rispetta la volontà del Creatore e quello che la contraddice. E tutto questo progetto è posto sotto la luce e la guida dello Spirito di Dio, quindi non è errato dire che la fede cristiana è intrinsecamente politica. Credere in Gesù, vuol dire accettare di essere responsabili della società di cui siamo membri.
E la forma politica che rende possibile l'attuazione di questa responsabilità di ciascuno, dal più al meno istruito si chiama democrazia, l'agorà come dicono i sociologi alludendo alla libera politica dei greci, la piazza dove si mettono in luce le qualità sociali da conquistare per una convivenza giusta pacifica e felice. Io ho visto nascere o rinascere dopo oltre venti anni di fascismo questa democrazia e ho preso parte alla sua incubazione avvenuta nel salone dell'Arcivescovado come ho ricordato nella commemorazione di Ferdinando Martini. E a questo connubio fede e politica sono rimasto fedele tutta la mia vita fra tempeste e bonacce, diffamazioni e calunnie e le meravigliose luminose gratificazioni dell'amicizia.
Saluto oggi il vostro evento che avviene dentro il progetto politico globalizzazione, decisamente, assolutamente antidemocratico, anche se lascia sussistere forme di governi nazionali permettendo loro di chiamarsi democrazie. È doloroso assistere a questo processo di distruzione della radice dell'umano che ci provoca alla trasgressione. E si fa attraverso la tecnocrazia e il consumismo che sono gli strumenti per creare quell'uguaglianza del pollaio di Orwell e il silenzio della pancia piena degli ubriachi. Per chi ama la gioventù e ha lottato per difendere i suoi sogni in un tempo in cui era possibile sognare, è veramente duro assistere a questa distruzione sistematica dei giovani che si realizza in un clima di festa: tutto finalizzato a renderli uniformi, sterilizzarli, distruggendo in loro la capacità di vera amicizia. Che senso può avere la vita senza amicizia? Tutto viene avvolto di tenebra senza amicizia, tutto perde valore. Pensate a iniziative della tv come il Big Brother che presenta chiaramente il criterio seguito per distruggere alla radice le prerogative essenziali della persona. Nel mondo devi sbrigartela da solo e devi essere un duro. Hai bisogno di alleati ma non di amici. Gli alleati sono di per se stessi provvisori, quando non ti servono più devi essere pronto a sbarazzartene. Nel mondo non trionfa il migliore ma il più furbo, il più libero da scrupoli, da quello che hai imparato dalla religione se mai l'hai avuta. Se ti capita serviti anche di questa ma non farti legare dai suoi moralismi. Pensare che esista gente in questa Europa cristiana centro di civiltà che si diverte a questo spettacolo infinitamente più crudele di quello dei gladiatori che divertiva gli antichi romani, c'è da chiedere che venga presto la fine di quest'occidente. Questi ultimi tempi dominati dal brutto che ha ucciso Dio (Cacciari) sono una esplicita condanna di un cristianesimo che mi è stato predicato da un giovanissimo italiano spedito in Brasile per fare dei proseliti per il suo club ultracattolico. Tu puoi salvare il mondo? Tu puoi salvare la tua anima? Dopo aver atteso per qualche attimo la mia risposta che non è venuta, la sua conclusione è stata: Dunque salva la tua anima e non ti occupare del mondo! La tecnica ha prodotto uno strumento quasi miracoloso ma il Brutto lo usa per convocare ragazzi da dodici a quattordici anni a spettacoli di pornotecnica per renderli sempre più lontani dagli altri: vivi solo, solo ti basti anche per soddisfare quel bisogno essenzialmente altruista. L'altro o l'altra in carne e ossa sono, come scrive Sarte, l'inferno. Questo esiste nella nostra società e le loro azioni sono in crescita e confesso di sentirmi spesso preso da quell'indignazione che porta Gesù a sragionare e abbandonare quello sconfinato mare di compassione per l'uomo. Voi che per denaro tradite con tanta disinvoltura e tanta abilità la persona umana distruggendo il suo bisogno vero di amicizia e fate della sua bellezza una copertura dell'infamia che state consumando, uno strumento di produzione monetario, sopprimetevi, uscite dal mondo, fate presto perché questa epidemia che sta distruggendo la gioventù può essere vinta solo se voi uscite dall'esistenza, quando voi non ci sarete più.
E l'invettiva di Gesù raggiunge pienezza di senso se pensiamo alle mine che emergono dalla terra in forma di balocchi per attirare i bambini prediletti dal Maestro e strappare loro gli arti perché crescano incapaci, così non potranno contrastare l'avanzata degli avidi conquistatori.
Questo riferimento alla società genocida di cui noi facciamo parte ho creduto necessario perché comprendiate l'importanza di questo vostro incontro. Non c'è altro tipo di reazione a questo piano diabolico di creare un'umanità pacifica perché non più di uomini. Prima di tutto voi create questo valore che è il senso stesso della vita, l'amicizia, valore che contrasta il progetto di uniformare l'umanità, amicizia significa non solo amore ma dialogo, progetto, trasgressione, e di questo ha paura l'impero. Le folle di giovani invitati ad ammirare e ad ascoltare personaggi che esercitino su di loro qualunque tipo di fascino o con la musica o col canto o con la parola o con qualunque esibizione del corpo, non sono segno di amicizia, formano degli spettatori, non dei trasgressori attivi che responsabilmente vogliono un'altra società e anche un'altra chiesa non madre protettrice o peggio organizzatrice di solennità spettacolari: ma centro di formazione e di invio raccontato da Luca al capitolo 10 che rinnova oggi l'invio a portare la pace e conseguentemente la giustizia e il riconoscimento di pari diritto degli uomini. Amicizia non è solo star bene insieme, volersi bene, ma scoprire insieme quella qualità che è la caratteristica dell'umano: la trasgressione, che non è l'equivalente della violenza ma è rifiuto del male, dell'ingiustizia, ribellione a tutte le forme di oppressione che la società ha organizzato per distruggere questo centro di giovinezza.
Il passare degli anni rende sempre più vivo il ricordo del gruppo di studenti di liceo che usciva dal cerchio per andare insieme a pensare, a discutere, a sognare. Un compagno ha trasmesso questa nostra iniziativa in una piccola pubblicazione che ho citato nell'incontro dell'anno scorso al nostro liceo Macchiavelli. Nell'epoca fascista questa era una vera trasgressione e ne eravamo coscienti ma il bisogno di fondare e di alimentare una vera amicizia era così forte da superare qualunque veto. In questi incontri sbocciava la mia vocazione religiosa e il mio sacerdozio è stato sempre, almeno nell'intenzione, politico e religioso. E seguimento del sacerdozio del Signore Gesù. Nel discorso di congedo Gesù definisce il suo gruppo come una piccola comunità di amici. E dice loro con estrema lealtà: Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. I lupi non sono in chiesa né in sacrestia a meno che non siano ricoperti del vello di agnelli, sono fuori nel mondo. Definire lupi questi nemici dell'umano oggi al comando di tutti gli strumenti mediatici è ancora un eufemismo. A questi ci manda il Maestro, dunque nella polis, dove si fa politica che dovrebbe essere creatrice e ordintrice della comunità umana e può essere creatrice di mali. Voglio ricordare qui con le parole del filosofo Massimo Cacciari un grande amico e singolare creatore d'amicizia, Ernesto Balducci, che fu amico anche a lui che ho sentito presente anche anonimamente nelle parole del filosofo veneziano: Non è amicizia l'essere amico del simile - e anche questo, ed è un mio commento, ci ha detto Gesù - di ciò che si conosce che in qualche modo ci appartiene… Qui l'inaudito consiste nel fatto che Dio rivela proprio se stesso come straniero. Ero xenos, straniero e mi avete accolto (Mt. 25,35). Così Lui si presenta come straniero, come il dissimile - e chiama per essere riconosciuto in tale aspetto, non malgrado esso.
Dunque coraggio giovani. Gesù è qui con noi, attende solo di essere accolto.
Vi saluto con affetto e con nostalgia della bianca chiesa che vi accoglierà stasera, che si erge sulla piazza dei miei giochi infantili.
Arturo Paoli

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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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