CAMPO DI PRIGIONIA DI SERVIGLIANO MONUMENTO NAZIONALE

Servigliano è un piccolo Comune della Provincia marchigiana di Fermo che all'inizio del Primo conflitto mondiale, nel 1915, fu scelto per una serie di caratteristiche strategiche come luogo per ospitare un campo di prigionia.

Tre ettari di terreno a Ovest del nucleo centrale del paese furono adibiti all'edificazione di trentadue baracche in legno, ognuna delle quali avrebbe dovuto ospitare 125 prigionieri, 4.000 in tutto. L'intero perimetro dell'area fu delimitato da un muro alto tre metri, sovrastato da filo spinato: un'immagine fortemente e tragicamente evocativa, che non può fare a meno di suscitare sentimenti di ripugnanza.

Quel campo seguì le sorti delle vicende storiche della nostra penisola e, se inizialmente vide prigionieri i soldati austro-ungarici, esso fu in seguito adibito a diverse funzioni: da campo di rieducazione per i soldati italiani redenti nel 1919 a deposito militare; da campo di prigionia per militari alleati a campo di internamento per gli ebrei tra il 1943 e il 1944.

Dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, fu adibito a campo di addestramento per militari polacchi, poi a campo profughi per slavi e, ancora, a centro di raccolta per profughi giuliano-dalmati.

Di questo campo, che dal 1955 iniziò a svuotarsi, oggi restano le mura e due delle trentadue baracche realizzate inizialmente. Con successivi interventi di riqualificazione l'area ospita oggi impianti sportivi ad uso della piccola cittadina marchigiana, che ha visto così nel tempo la trasformazione dell'area da campo di prigionia a Parco della pace.

Il cambio di destinazione e l'attuale denominazione dell'area, tuttavia, non possono far dimenticare le brutture che in essa, suo malgrado, sono avvenute nel corso della storia del secolo scorso.

È quindi per futura memoria, per un dovere morale e civile, per ricordare, affinché non si ripetano le tragedie provocate dalle guerre, provocate dai regimi totalitari di qualsiasi colore politico, provocate dalle deportazioni, con la conseguente negazione dei diritti fondamentali dell'uomo.

Da questa volontà è nato il disegno di legge in esame, condiviso da tutte le forze politiche presenti in Parlamento, per fare assurgere il campo di prigionia di Servigliano a monumento nazionale, per richiamarci al dovere di mantenere viva non solo la memoria, ma anche l'attenzione su ciò che è stato il secolo scorso, di cui la storia del campo di prigionia di Servigliano è testimonianza di alcune delle tappe più significative.

E’ testimonianza insieme alla risiera di San Sabba Trieste, ma anche luoghi non ancora riconosciuti come parte inscindibile della nostra memoria: i lager del duce, i campi per i militari, quelli per gli ebrei, per i profughi di ieri e di oggi, quelli per gli oppositori ai regimi totalitari, quelli per chi veniva considerato un diverso. Non illudendoci mai che siano cose lontane o cose che non possano più accadere, non illudendoci mai che l'uomo abbia una volta per tutte imparato.

Illuminante ciò che scrisse Primo Levi sui lager che - disse – sono «fuori di noi, ma intorno a noi, nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. […] Il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea». Questo il suo insegnamento.

La delega alla testimonianza non può dunque essere una mera questione dei testimoni, perché allora la memoria sarebbe condannata a morire quando verranno meno coloro che possono ancora parlare in prima persona. Tutti abbiamo insieme la responsabilità della memoria.  

Possiamo fare nostre le parole di Eli Wiesel: «Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».

A questo serve il provvedimento in esame e per questo - penso - ha un significato che va al di là del suo oggetto, perché una società che perde la memoria rimane cieca e senza identità. È questo il rischio che corriamo in questo tempo, che è dominato dal flusso incessante dei social network, che riduce tutto a un eterno presente.

Sappiamo, invece, che questa è una distorsione, un inganno, perché se si perde la consapevolezza del passato, si perde anche il senso del futuro.

Ecco perché oggi, quando c'è chi vuole confondere i torti e le ragioni e cancellare la storia per aizzare odio e discriminazioni, strumentalizzando le ragioni dei risentimenti (anche quelli giusti), delle frustrazioni, della mancanza di lavoro, della mancanza di prospettiva, questa legge ha un valore ancora maggiore.

Questo perché la democrazia va conquistata ogni giorno e la memoria è l'antidoto più potente ai mali che la corrodono, all'intolleranza, alle discriminazioni, alle diseguaglianze. Questo perché - signor Presidente - la memoria rende liberi. 

Il allegato il testo della norma approvata e QUI il dossier dell’ufficio Studi del Senato


  Scarica allegato 1

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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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