COVID19: DOPO PRESENTAZIONE INTERROGAZIONE, CHIAREZZA SULLE FIGURE PROFESSIONALI SANITARIE

A seguito della presentazione sul tema dell'interrogazione in Senato a mia prima firma, nella conversione del Decreto Legge 18/2020 si è fatta chiarezza sulle "competenti autorità sanitarie" relativamente alla certificazione per persone con disabilità o con fragilità

Il Decreto "Cura Italia" riguardante le misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di Sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, ha posto in essere misure urgenti a tutela del periodo di sorveglianza attiva di lavoratori pubblici e privati in particolari condizioni di rischio derivante da immunodepressione o da patologie oncologiche, il cui periodo di assenza dal servizio andava prescritto "dalle competenti autorità sanitarie" e veniva equiparato al ricovero ospedaliero, lasciando però incertezze sulla definizione delle figure professionali sanitarie interessate.

In sede di conversione, con una riformulazione, è stata chiarita la definizione.

Insieme ai miei colleghi abbiamo quindi sollecitato il Ministero della Salute e l'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale sulla grossa criticità applicativa della norma contenuta nel Decreto-Legge 17 Marzo 2020, n. 18 rivolta specificamente a persone con disabilità o con fragilità, per i dubbi interpretativi riguardanti i "competenti organi medico legali" - figure individuate per rilasciare la certificazione attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, e abbiamo sottolineato l'urgenza di chiarire quali fossero gli organi abilitati a certificare la condizione

Lo stesso Ordine aveva richiesto tale chiarimento in quanto, tali persone fragili, non essendo portatrici di una malattia acuta, ma di una condizione di rischio dovuta alla fragilità per le patologie pregresse, avrebbero necessità di essere identificate con un codice medico specifico, senza rischiare di portare i medici preposti ai servizi di medicina generale a rischio di falso in atto pubblico

La situazione poco chiara stava creando profondo disagio e rende gravoso anche il lavoro degli operatori sanitari sul territorio in quanto vengono esposti ad ulteriori rischi.

Abbiamo indicato anche alcuni esempi che evidenziavano le incertezze e le contraddittorietà della situazione: a Bologna, la direzione generale INPS, con provvedimento poi condiviso a quanto risulta da altre realtà della stessa Emilia aveva deciso di accettare "certifica di malattia in casi simili, da identificare con il codice V07 - persone con necessità di isolamento, altri rischi potenziali di malattie e misure profilattiche" - specificando che in aggiunta al suddetto codice andava specificato in campo diagnosi la patologia cronica associata o la causa di immunodepressione, ma a Roma, la stessa direzione generale dell'INPS, non conferma l'esistenza di tale codice.

Ancora,  in Piemonte - a Torino - si dava la possibilità ai medici curanti "di valutare la possibilità di redigere un certificato di malattia con specifico codice V07, dandone comunicazione al servizio medico competente dell'Azienda, mentre a Cuneo era stato comunicato ufficialmente che erano organi abilitati a certificare la condizione di cui all'articolo 26, comma 2, sia i medici preposti ai servizi di medicina generale, sia i medici convenzionati con il SSN"

In questo quadro, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri - che agisce quale organo sussidiario dello Stato - commentando la circolare di applicazione del Decreto Cura Italia che individua nella figura del medico di medicina generale le "competenti autorità sanitarie" - organi abilitati a certificare la condizione - quindi sia i medici preposti ai servizi di medicina generale sia i medici convenzionati con il SSN, sottolineava che dette indicazioni stavano creando molte perplessità all'interno della categoria professionale medica in quanto dette certificazioni attestanti una condizione di rischio - e non solo una malattia - non sarebbero "necessarie e sufficienti per la definizione dello stato di fragilità" affermando in conclusione che "l'assenza dal servizio di chi rientra nelle fattispecie previste dalla Legge 104/92 deve essere prescritta dalle "competenti autorità sanitarie" tra cui non rientra il medico di medicina generale che non può essere assimilato alle stesse.

Ho voluto così richiamare il Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale a fare chiarezza in modo urgente sulla figura delle "competenti autorità sanitarie" indicate nell'articolo 26 del Decreto - Legge 17 Marzo 2020 n. 18 e su quale fosse conseguentemente la procedura da adottare, e poi nella notte scorsa con un emendamento è stato modificato il comma 2 dell'articolo 26 precisando che l'attestazione di "una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita" spettava alle "competenti autorità sanitarie, nonchè dal medico di assistenza primaria che ha in carico il paziente, sulla base documentata del riconoscimento di disabilità o delle certificazioni dei competenti organi medico-legali di cui sopra, i cui riferimenti saranno editati per le verifiche di competenza, nel medesimo certificato" e che "nessuna responsabilità, neppure contabile, è imputabile al medico di assistenza primaria nell'ipotesi in cui il riconoscimento dello stato invalidante dipenda da fatto illecito di terzi", facendo finalmente un po' di luce sul tema.


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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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