FRERE ROGER SCHUTZ - Fondatore e priore Comunità di Taizé

- cenni biografici
- un avvenire di pace (lettera)
- una realtà semplicissima (lettera)




Il riconoscimento più emblematico della Comunità di Taizé, fu espresso da papa Giovanni Paolo II, quando vi si recò il 5 ottobre 1980, durante il suo viaggio apostolico in Francia: “Come voi, pellegrini e amici della Comunità, il papa è di passaggio. Ma si passa a Taizé come si passa accanto ad una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e continua il cammino”.
Ecco lo scopo dell’esistenza della Comunità monastica ecumenica di Taizé; essere punto di ristoro, riposo e meditazione dello spirito, a qualunque confessione religiosa si appartenga, per poi riprendere rinvigoriti e in comunione d’intenti, la vita di ogni giorno e il cammino della speranza ecumenica.

CENNI BIOGRAFICI
Ideatore, fondatore e priore fino alla sua morte avvenuta nel 2005, è stato frère Roger, il cui nome completo è Roger Louis Schutz-Marsauche; egli nacque il 12 maggio 1915 a Provence, un piccolo paese della Svizzera francese.
Il padre era un pastore svizzero, esperto in esegesi del Nuovo Testamento; la madre Amelie Marsauche, di origine francese, era una appassionata di musica e prima di sposarsi, aveva studiato canto a Parigi.
Del resto la musica, avrà sempre una notevole importanza nella vita di Roger Schutz, musiciste furono una sua ava, più la madre e la sorella Genevieve, che intendeva intraprendere la carriera concertistica; la futura comunità adotterà la musica come strumento privilegiato di preghiera e i suoi componenti elaboreranno celebri canti comunitari.
E dalle radici della sua famiglia, Roger attingerà i sentimenti più belli come la pace, l’ecumenismo, la fratellanza fra i popoli; ancora un bimbo, poté vedere l’opera caritatevole della sua nonna materna Marie-Louise Marsauche-Delachaux, la quale rimasta vedova, all’inizio della Prima Guerra Mondiale, viveva a poca distanza dal fronte bellico, nella Francia del Nord, dove combattevano tre suoi figli.
Incurante delle bombe cadute anche sulla sua casa, decise di rimanervi a vivere con una delle nuore, trasformandola in rifugio per chi voleva fuggire dalla guerra, donne incinte, bambini, vecchi; lasciò la casa quando il pericolo diventò troppo grande e insieme alla nuora, si rifugiò a Parigi.
Al termine del conflitto, raggiunse la figlia Amelie, la madre di Roger in Svizzera, dove coltivò il suo grande desiderio per tutta la vita, inculcandolo nel piccolo nipote: che i cristiani si ricongiungessero tra loro, in modo da scongiurare conflitti così crudeli, come quello cui lei aveva assistito e vissuto, conflitto che aveva visto ancora una volta Nazioni cristiane dilaniarsi fra loro, senza trovare una comune coesione religiosa che scongiurasse la guerra.
Proprio per rendere visibile questo profondo desiderio, la nonna di Roger, di origine protestante, cominciò a frequentare la Chiesa Cattolica.
Sarà proprio frère Roger, anni dopo, che confermerà con queste parole, a Giovanni Paolo II, il grande influsso ricevuto dalla nonna: “Posso dirle che, seguendo le orme di mia nonna, ho trovato la mia identità di cristiano, riconciliando all’interno di me stesso la corrente di fede delle mie origini evangeliche, con la fede della Chiesa cattolica, senza rottura di comunione con nessuno”.
L’adolescenza di Roger non fu tranquilla, si ammalò di tubercolosi polmonare, malattia molto diffusa all’epoca, con forte mortalità; fu più volte in pericolo di vita, ma dopo qualche anno la sua giovane fibra la spuntò, portandolo alla guarigione.
Ormai giovanotto, espresse il desiderio d’iscriversi alla Facoltà di Lettere per diventare uno scrittore, opponendosi alla volontà del padre, che quale pastore protestante, lo voleva teologo.
A Parigi presentò pure un suo scritto: “Evoluzione di una giovinezza puritana”, composto durante la lunga malattia, ma si frapposero alla pubblicazione degli ostacoli d’impostazione e alla fine si convinse ad abbandonare la carriera dello scrittore e pur non sentendosene attratto, si iscrisse a Teologia, frequentando i corsi a Losanna e a Strasburgo.

L’intuizione della Comunità di Taizé
Aveva 25 anni, quando il 21 agosto del 1940, il neo pastore Roger Schutz, seguendo un suo ideale elaborato negli anni della malattia e confortato dall’appoggio di familiari ed amici, inforcò una bicicletta e partì alla volta della vicina Svizzera, a quel tempo un’incredibile oasi di pace, in un’Europa squassata dal fragore di un secondo conflitto mondiale.
Le sue intenzioni erano quelle di trovare un luogo che diventasse un punto di riferimento da offrire agli oppressi del suo tempo, i perseguitati, i poveri, gli ebrei colpiti dalle leggi razziali naziste; e per far ciò lo andò a trovare lì dove si era in pieno dramma, per poterne meglio condividere le dimensioni tragiche.
Pedalando e costeggiando il fiume Grosne, arrivò in uno sperduto villaggio, Taizé, posto su una collina tra Cluny e Citeaux, luoghi insigni del monachesimo cattolico per le loro millenarie abbazie.
Il villaggio, che ancora oggi conta meno di 200 abitanti, si trova nel cuore della Borgogna, nel dipartimento di Saône-et-Loire e sebbene minuscolo, è diventato noto in tutto il mondo, proprio grazie all’opera dell’allora giovane pastore evangelico Roger Schutz.
Racconterà poi, che invitato a pranzo da un’anziana signora del villaggio, Henriette Ponceblanc, si sentì dire: “Resti qui, siamo tanto isolati”; gli sembrò che la voce di Dio si esprimesse tramite la donna, perché in tutti i luoghi che aveva visitato, nessuno gli aveva parlato così; decise allora di restare a Taizé, comprando una casa in vendita da una signora di Lione.
Si era in piena invasione tedesca, anche l’Italia, il 10 giugno 1940 aveva dichiarato guerra alla Francia, i perseguitati politici e i profughi della zona occupata dai nazisti, specie gli ebrei, erano tanti e molti arrivavano anche a Taizé, posto a qualche km dalla linea di demarcazione, che divideva la Francia occupata e non dai tedeschi, in due settori. Roger Schutz prese ad accogliere e nascondere quanti poteva, aiutandoli poi a varcare il confine con la neutrale Svizzera.
A Taizé, era solo e pregava tre volte al giorno in un piccolo oratorio, meditando il futuro e aiutando come detto i fuggiaschi, farà questo dal 1940 al novembre 1942, quando diretto al confino svizzero per accompagnare dei profughi senza documenti, venne avvisato che la Gestapo aveva perquisito per due volte la casa di Taizé; ormai i tedeschi avevano occupato interamente la Francia, e per non essere arrestato, frère Roger decise di rimanere in Svizzera.
Nei quasi due anni di permanenza nella sua Svizzera, affiancato dalla sorella Genevieve che già l’aveva raggiunto a Taizé, frère Roger diede vita al suo ideale, espresso in un libretto “Note esplicative”, che aveva scritto a Taizé; libretto che pubblicato a Lione, era stato letto anche da due studenti, Pierre Souvairan e Max Thurian, i quali colpiti da quell’ideale, raggiunsero Roger a Ginevra, decidendo di vivere con lui.
Era il primo nucleo della futura comunità, che costituirà e costituisce. un’eccezione nel mondo protestante, per la sua connotazione di tipo monastico, con una Regola modellata insieme a Max Thurian, su quella francescana, dopo aver ampiamente studiato il santo Poverello di Assisi.
A fine 1944, Roger Schutz con i primi tre fratelli, ritornò a Taizé, riprendendo l’interrotta esperienza spirituale, e con un nuovo programma di aiuti al prossimo bisognoso, che nel frattempo con l’approssimarsi della caduta definitiva del nazismo, aveva cambiato faccia; non erano più i francesi, ma gli stessi tedeschi prigionieri in due vicini campi di detenzione.
I fratelli ai quali si era aggiunto Daniel de Montmollin, con uno speciale ‘lasciapassare’, ottennero di ospitare quei prigionieri, la domenica nella loro casa, per un pasto e per un momento di preghiera. Nel contempo la sorella Genevieve si occupava anche di bambini rimasti orfani dei genitori.
In quello stesso fine anno 1944, la nascente Comunità, ottenne un “ordine di missione”, che permetteva ai fratelli di circolare liberamente per la Francia, in aiuto dei più bisognosi.

Altre tappe della nascente Comunità.
Nel 1948 un primo passo di allargamento; l’allora Nunzio Apostolico a Parigi, mons. Angelo Roncalli (il futuro papa Giovanni XXIII) firmò l’autorizzazione per la piccola Comunità, a riunirsi in preghiera nella chiesa cattolica del villaggio di Taizé; e proprio in quella chiesa, a Pasqua 1949, i fratelli in numero di sette, si impegnarono per tutta la vita a vivere con grande semplicità, nel celibato, nella comunione dei beni spirituali e materiali, accettando il ministero del priore; frère Roger ne divenne il primo.
Nel 1952 scrisse una prima versione della “Regola di Taizé” per la Comunità, che modificherà più volte nel corso degli anni, compreso il titolo e che nel 1990, in occasione del 50° di Taizé, diverrà il libretto “Amore di ogni amore”.
Nel 1956, frère Roger e i suoi fratelli, furono ricevuti in Vaticano da papa Pio XII, molto interessato alla loro esperienza e nel 1958 furono accolti da papa Giovanni XXIII, che nel salutarli pronunciò: “Ah, Taizé, quella piccola primavera!”; al futuro beato, la Comunità rimarrà particolarmente legata.
E alla grande assise ecumenica del Vaticano II, frère Roger e frère Max Thurian, furono presenti, come uditori del mondo protestante, per tutto il periodo del Concilio, continuato con Paolo VI, che li conosceva ed apprezzava.

La Comunità di Taizé si consolida; principali iniziative
Il 6 agosto 1962, festa della Trasfigurazione, venne inaugurata una chiesa denominata “Chiesa della Riconciliazione”; ormai i giovani affluivano da ogni parte, desiderosi di un momento di ristoro spirituale e di pace e quindi i fratelli avevano deciso di ampliare i locali per accoglierli, costruendo nel contempo una chiesa più grande; e in quell’occasione venne organizzato un altro incontro ecumenico con rappresentanti delle Chiese Cattolica, Ortodossa, Protestante e Anglicana.
Ed ecco che nel 1969, la Comunità di Taizé cominciò ad essere veramente ecumenica, un medico belga cattolico, con il permesso di Paolo VI, si unì ai fratelli come membro della Comunità; sarà poi seguito da altri.
Anticipando di qualche anno, le Giornate Mondiali della Gioventù, volute da papa Giovanni Paolo II; a partire dal 1978, i fratelli di Taizé, presero ad organizzare ogni anno, dal 28 dicembre al 1° gennaio, un “pellegrinaggio di fiducia sulla terra”, al fine di “stimolare i giovani perché divengano, a casa loro, creatori di pace, portatori di riconciliazione e di fiducia sulla terra”.
Questi annuali incontri, organizzati dalla Comunità dei fratelli, si terranno nelle principali capitali europee e dal 1985, divennero anche intercontinentali, perché la città scelta fu Madras in India.
Con l’India frère Roger ebbe uno speciale rapporto sin dal 1976, quando visse per un periodo in una bidonville di Calcutta, dove conobbe Madre Teresa, con la quale intrattenne un’amicizia durata fino al 1997, quando la “suora degli ultimi” morì; proprio da Calcutta, frère Roger prese a scrivere ogni anno, da un luogo di grande povertà, una lettera che sarà oggetto di riflessione per i giovani riuniti nell’annuale convegno e alla Comunità stessa.
Negli anni Ottanta, silenziosamente ma con costanza, i fratelli allacciarono rapporti con i molti giovani provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est, allora soggetti al regime comunista e nel 1987 riuscirono ad organizzare un incontro di giovani dell’Est e dell’Ovest a Lubiana e poi dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, fu scelta la città di Wroclaw in Polonia per l’annuale pellegrinaggio dei giovani e negli anni successivi a Praga e a Budapest.
Bisogna aggiungere, che dal 1966 collaborano con Taizé, anche delle suore della Congregazione cattolica di Saint-André, fondata nel 1212.

La spiritualità di Taizé
Il villaggio di Taizé, continua ad essere un minuscolo puntino sulle carte geografiche locali, mentre è ignorato in tutte le più importanti, eppure in questo luogo di spiritualità, affluiscono di settimana in settimana, migliaia di giovani alla ricerca di un punto d’incontro, ma soprattutto di preghiera, silenziosa per lo più e comunitaria, senza distinzione di nazionalità, razza, condizione sociale, età, fede religiosa.
Ogni settimana da inizio primavera a tardo autunno, i giovani arrivano sulla collina di Taizé, cercando il significato della loro vita, in comunione con molti altri.
Andando alle sorgenti della fiducia in Dio, sono invitati ad un pellegrinaggio interiore, che li incoraggia a costruire rapporti di fiducia fra gli esseri umani; e questa esperienza continua quando ritornano a casa, assumendo la responsabilità di rendere il mondo un posto migliore in cui vivere.
Il silenzio è la caratteristica di Taizé, anzi è un dono, una liturgia, che coinvolge il corpo, che porta in maniera sensibile alla riconciliazione, con Dio, con se stessi, con gli altri.
I frères, secondo la Regola, vanno all’Ufficio in chiesa tre volte al giorno; indossano la “veste di preghiera” candida, con le lunghe maniche scampanate a coprire le mani, il cappuccio francescano sulle spalle.
Si siedono in mezzo alla chiesa senza banchi, tutta moquette e vetrate colorate, opera del fratello artista Frère Erik; al fondo della navata della Chiesa della Riconciliazione, sfavillano i ceri e candele dell’altare, suggestivamente ricavato da mattoni cavi, appoggiati l’uno sull’altro e nel silenzio “abitato”, scorre la preghiera di contemplazione.
Con la sua stessa esistenza la comunità è un segno di riconciliazione tra i cristiani divisi, tra i popoli separati e costituisce quella che frère Roger chiamava “una parabola di comunione”.
Se la riconciliazione tra i cristiani è al centro della vocazione di Taizé, non lo è mai con uno scopo in sé, ma perché i cristiani stessi, siano a loro volta fermento di riconciliazione tra gli esseri umani, di fiducia tra i popoli, di pace sulla terra.
Significativa la scritta che accoglie gli ospiti e i pellegrini: “Voi che giungete qui, riconciliatevi! Cattolici, protestanti, ortodossi, giovani e anziani, bianchi e neri”.
Nel tempo i fratelli di Taizé sono aumentati di numero, circa un centinaio, non solo monaci di fede cattolica e protestante, ma anche anglicani. Essi non accettano nessun tipo di regalo per se stessi e rinunciano alle loro eredità personali per farne dono ai più poveri. Si guadagnano da vivere con il proprio lavoro, hanno aperto alcune piccole fraternità in Asia, Africa e Sud America, dove alcuni di loro condividono le disagiate condizioni dei più poveri, cercando di essere una presenza di amore e di carità.

Il martirio di frère Roger
Su tutto questo fermento di attività, oggi si può ben dire mondiali, come un antico patriarca, sovrintendeva, con la sua veneranda età, il suo carisma, la sua presenza silenziosa e orante, il fondatore frère Roger, rimasto solo dopo il “passaggio” totale nella Chiesa Cattolica, del monaco teologo della prima ora Max Thurian, morto sacerdote cattolico. Quel “passo” frère Roger Schutz non lo fece mai, coerente con i suoi principi, ma certamente fu il più vicino alla Chiesa Cattolica, fra tutti i membri del mondo protestante.
La sua luminosa ed intuitiva vita, si è conclusa a 90 anni, il 16 agosto 2005, alle ore 20,45, mentre era in preghiera serale, come al solito insieme ai giovani nella Chiesa della Riconciliazione di Taizé, per mano di una squilibrata rumena di 36 anni, che l’ha accoltellato mortalmente; imprimendo al grande fondatore e priore, il sigillo del martirio; a lui uomo di Dio, che si era totalmente donato sino alla fine.
Papa Benedetto XVI, ricevuta la notizia, quando era a Colonia per la GMG del 2005, lo ha ricordato commosso, definendolo “fedele servitore di Dio”.
Lungo il corso della sua vita frère Roger Schutz, ricevé ben sette Premi internazionali fra cui quello dell’UNESCO nel 1988, per l’educazione alla Pace; tutti riconoscimenti autorevoli per la sua opera rivolta alla difesa della dignità umana, per i servizi umanitari, la ricerca della pace, la formazione della gioventù.
Inoltre dal 1958 al 2005, sono stati pubblicati ben 14 libri di spiritualità, scritti da frère Roger, più due scritti insieme a Madre Teresa di Calcutta.
I libri si caratterizzano per lo stile semplice, immediato e da riflessioni brevi, poetiche e intense; postumo, ad ottobre 2005, sempre in Francia come gli altri, è uscito “Prier dans le silence du coeur”, la cui traduzione in altre lingue è in corso.
Fedele all’impegno assunto a vita dai fratelli, la Comunità di Taizé prosegue il cammino indicato nella formula pronunciata “Vuoi, scorgendo sempre il Cristo nei tuoi fratelli, prenderti cura di loro, nei giorni belli e nei giorni tristi, nella sofferenza e nella gioia? Lo voglio!”.


UN AVVENIRE DI PACE
Questa lettera, scritta da frère Roger di Taizé e tradotta in 55 lingue (di cui 24 asiatiche), è stata pubblicata per l’incontro europeo dei giovani a Lisbona. Sarà poi ripresa e meditata durante l’anno 2005 negli incontri di giovani che avranno luogo sia a Taizé, settimana dopo settimana, sia in altre parti d’Europa o del mondo.

«Dio prepara per voi un avvenire di pace, non di sventura; Dio vuole donarvi un futuro e una speranza». [1]
Moltissimi sono coloro che oggi aspirano ad un avvenire di pace, ad un’umanità liberata dalle minacce di violenza.
Se alcuni sono in preda all’inquietudine per il futuro e si sentono immobilizzati, ci sono anche, in tutto il mondo, giovani capaci di inventiva e di creatività.
Questi giovani non si lasciano trascinare in una spirale di malinconia. Sanno che Dio non ci ha creato per essere passivi. Per loro, la vita non è soggetta alla fatalità del destino. Sono coscienti che l’essere umano può essere paralizzato dallo scetticismo o dallo scoraggiamento.
Perciò essi cercano, con tutta la loro anima, di preparare un avvenire di pace e non di sventura. Più di quanto immaginano, sono già in grado di fare della loro vita una luce che rischiara tutto intorno a loro.
Alcuni sono portatori di pace laddove ci sono situazioni di crisi e di contrasto. Essi perseverano anche quando la prova o il fallimento pesano sulle loro spalle. [2]
A Taizé, certe sere d’estate, sotto un cielo colmo di stelle, dalle nostre finestre aperte sentiamo i giovani.
Restiamo meravigliati di quanto siano numerosi. Essi cercano, pregano. E noi ci diciamo: le loro aspirazioni alla pace ed alla fiducia sono come queste stelle, piccole luci nella notte.
Attraversiamo un periodo in cui molti si chiedono: che cos’è la fede? La fede è una semplicissima fiducia in Dio, uno slancio di fiducia indispensabile, incessantemente ripreso durante tutta la vita.
In ciascuno di noi ci possono essere dei dubbi. Essi non devono inquietarci. Vorremmo soprattutto ascoltare Cristo che mormora nei nostri cuori: « Hai delle esitazioni? Non inquietarti, lo Spirito Santo rimane sempre con te». [3]
Alcuni fanno questa sorprendente scoperta: l’amore di Dio può sbocciare anche in un cuore attraversato dal dubbio. [4]
Nel Vangelo, in una delle sue prime parole, Cristo dice: « Beati i poveri in spirito! » [5] Sì, beati coloro che avanzano verso la semplicità, quella del loro cuore e quella della loro vita.
Un cuore semplice cerca di vivere il momento presente, cerca di accogliere ogni giorno come un oggi di Dio.
Lo spirito di semplicità non traspare forse dalla gioia serena ed anche dalla contentezza?
Un cuore semplice non ha la pretesa di capire da solo ogni aspetto della fede. Dice a se stesso: quello che io comprendo a fatica, altri lo comprendono meglio e mi aiutano a proseguire nel cammino. [6]
Rendere semplice la propria vita permette di condividere con chi è più sprovvisto, per alleviare le sofferenze dove c’è la malattia, la povertà, la fame… [7]
Anche la nostra preghiera personale è semplice. Pensiamo forse che per pregare abbiamo bisogno di molte parole? [8] No. Qualche parola, talvolta un po’ maldestra, è sufficiente per affidare ogni cosa a Dio, i nostri timori come anche le nostre speranze.
Abbandonandoci allo Spirito Santo, troveremo la strada che porta dall’inquietudine alla fiducia. [9] E noi gli diciamo:
«Spirito Santo, donaci
di tornare a te in ogni momento.
Così spesso dimentichiamo che abiti in noi,
che preghi in noi, che ami in noi.
La tua presenza in noi è fiducia
e continuo perdono».
Sì, lo Spirito Santo accende in noi un chiarore. Per quanto debole, esso risveglia nei nostri cuori il desiderio di Dio. E il semplice desiderio di Dio è già preghiera.
La preghiera non allontana dalle preoccupazioni del mondo. Al contrario, non c’è nulla di più responsabile della preghiera: più si vive una preghiera umile e semplice, più si è portati ad amare ed a manifestarlo con la propria vita.
Dove trovare la semplicità indispensabile per vivere il Vangelo? Una parola di Cristo ci rischiara. Un giorno egli disse ai suoi discepoli: « Lasciate che i bambini vengano a me, perché le realtà di Dio appartengono a chi è come loro ». [10]
Si riuscirà mai a dire quanto i bambini possono trasmettere attraverso la loro fiducia? [11]
Vorremmo allora chiedere a Dio: « Dio che ci ami, rendici umili, donaci una grande semplicità nella nostra preghiera, nelle relazioni umane, nell’accoglienza… »
Gesù, il Cristo, è venuto sulla terra non per condannare, ma per aprire agli esseri umani delle vie di comunione.
Da duemila anni, Cristo è presente attraverso lo Spirito Santo, [12] e la sua misteriosa presenza diventa concreta in una comunione visibile [13]: essa riunisce donne, uomini, giovani, chiamati ad avanzare insieme senza separarsi gli uni dagli altri. [14]
Ma ecco che, nel corso della storia, i cristiani hanno vissuto numerose scosse: delle separazioni sono sorte fra coloro che tuttavia si riferivano allo stesso Dio d’amore.
Oggi è urgente ristabilire una comunione, ciò non può essere continuamente rimandato a più tardi, fino alla fine dei tempi. [15] Faremo tutto il possibile affinché i cristiani si risveglino allo spirito di comunione? [16]
Ci sono dei cristiani che, senza indugiare, vivono già in comunione gli uni con gli altri là dove si trovano, molto umilmente, molto semplicemente. [17]
Attraverso la loro vita, vorrebbero rendere Cristo presente per molti altri. Sanno che la Chiesa non esiste solo per se stessa ma per il mondo, perché in esso venga deposto un fermento di pace.
«Comunione» è uno dei nomi più belli della Chiesa: in essa non vi possono essere rigidità reciproche, ma solamente la limpidezza, la bontà del cuore, la compassione…e si aprono le porte della santità.
Nel Vangelo possiamo scoprire questa sorprendente realtà: Dio non crea né la paura né l’inquietudine, Dio non può che amarci.
Attraverso la presenza del suo Spirito Santo, Dio viene a trasfigurare i nostri cuori.
E in una semplicissima preghiera possiamo percepire che non siamo mai soli: lo Spirito Santo sostiene in noi una comunione con Dio, non per un solo istante, ma fino alla vita che non ha mai fine.

NOTE
[1] Queste parole sono state scritte seicento anni prima di Cristo: vedi Geremia 29,11 e 31,17.
[2] Nell’anno in cui dieci nuovi Paesi si sono aggiunti all’Unione Europea, molti giovani europei sono coscienti di vivere su un continente che, dopo essere stato lungamente provato dalle divisioni e dai conflitti, ricerca la sua unità ed avanza sulla via della pace. Certamente ci sono ancora delle tensioni, delle ingiustizie, talvolta delle violenze che suscitano dubbi. Si tratta allora di non fermarsi per strada: la ricerca della pace è alla base stessa della costruzione dell’Europa. Ma ciò non ci interesserebbe se avesse come unico scopo quello di creare un continente più forte e più ricco e se l’Europa cedesse alla tentazione di richiudersi all’interno delle proprie frontiere. L’Europa diventa pienamente se stessa quando è aperta agli altri continenti, solidale con le nazioni povere. La sua costruzione trova il suo senso quando essa è considerata come una tappa al servizio dell’intera famiglia umana. Ecco perché, se il nostro incontro alla fine dell’anno si chiama « incontro europeo », ci piace ancor di più vederlo come un « pellegrinaggio di fiducia sulla terra ».
[3] Vedi Giovanni 14,16-18 e 27. Dio esiste indipendentemente dalla nostra fede o dai nostri dubbi. Se in noi c’è un dubbio, non per questo Dio si allontana da noi.
[4] Dostoevskij scrisse un giorno nei suoi appunti : « Sono un figlio del dubbio e dell’incredulità. Quale terribile sofferenza mi è costata e mi costa questa sete di credere, che è tanto più forte nella mia anima quanto sono più numerosi gli argomenti contrari … È attraverso il crogiuolo del dubbio che è passato il mio ‘osanna’ » Nonostante ciò Dostoevskij poteva continuare : « Non c’è niente di più bello, di più profondo, di più perfetto che il Cristo ; e non solo non c’è niente, ma non può esserci niente. » Quando quest’uomo di Dio lascia trasparire che in lui il non-credente convive con il credente, il suo amore appassionato per Cristo non è tuttavia intaccato.
[5] Matteo 5, 3.
[6] Anche se la nostra fiducia resta fragile, possiamo appoggiarci non solo sulla nostra fede ma sulla fiducia di tutti coloro che ci hanno preceduto e di tutti coloro che ci stanno intorno.
[7] Il programma alimentare mondiale dell’ONU ha pubblicato recentemente un rapporto sulla fame nel mondo. A dispetto dei progressi compiuti negli ultimi anni, 840 milioni di persone soffrono la fame, di questi 180 milioni sono bambini che hanno meno di cinque anni.
[8] Vedi Matteo 6,7-8.
[9] Questo cammino di abbandono a Dio può essere sostenuto da semplici canti, ripetuti più volte, come per esempio: « Mon âme se repose en paix sur Dieu seul… » Quando lavoriamo, quando ci riposiamo, questi canti risuonano all’interno del nostro cuore.
[10] Matteo 19,14.
[11] Un bambino di nove anni che venne a pregare con noi durante una settimana, un giorno mi disse: « Mio padre ci ha lasciati. Io non lo vedo mai ma gli voglio sempre bene e la sera prego per lui ».
[12] Vedi 1 Pietro 3,18; Romani 1,4 e 1 Timoteo 3,16.
[13] Questa comunione si chiama Chiesa. Nel cuore di Dio, la Chiesa è una, non può essere divisa.
[14] Più ci si avvicina al Vangelo, più ci si avvicina gli uni agli altri. E si allontanano le separazioni laceranti.
[15] Cristo chiama ad una riconciliazione senza tardare. Non possiamo dimenticare la sua parola nel Vangelo di Matteo: « Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, va’ prima a riconciliarti» (5,23). « Va’ prima » e non: « Aspetta più tardi ».
[16] A Damasco, nel Medio Oriente così provato, abita il patriarca greco-ortodosso d’Antiochia, Ignazio IV. Egli si esprime con parole sorprendenti: « Il movimento ecumenico sta regredendo. Cosa resta dell’avvenimento profetico degli inizi che personalità come il papa Giovanni XXIII e il patriarca Atenagora, fra gli altri, hanno incarnato? Le nostre divisioni rendono Cristo irriconoscibile, esse sono contrarie alla sua volontà di essere uniti “perché il mondo creda”. Abbiamo bisogno con urgenza d’iniziative profetiche per far uscire l’ecumenismo dai meandri nei quali temo si stia impantanando. Abbiamo un urgente bisogno di profeti e di santi per aiutare le nostre Chiese a convertirsi attraverso il perdono reciproco».
[17] Nel corso della sua visita a Taizé il 5 ottobre 1986, il papa Giovanni Paolo II ha suggerito una via di comunione dicendo alla nostra comunità: « Volendo voi stessi essere una ‘parabola di comunità’, aiuterete tutti quelli che incontrerete ad essere fedeli alla loro appartenenza ecclesiale che è il frutto della loro educazione e della loro scelta di coscienza, ma anche ad entrare sempre più profondamente nel mistero di comunione che è la Chiesa nel disegno di Dio. »


UNA REALTA' SEMPLICISSIMA
Aprendo il vangelo, ciascuno può dirsi: queste parole di Gesù sono un po’ come una lettera molto antica che mi è stata scritta in una lingua sconosciuta. Siccome mi è stata inviata da qualcuno che mi ama, cerco di comprenderne il senso e provo subito a mettere in pratica nella mia vita il poco che ne afferro….
All’inizio, non sono le vaste conoscenze che contano. Avranno certo un loro grande valore. Ma è attraverso il cuore, nelle profondità di sé stesso, che l’essere umano comincia ad afferrare il Mistero della Fede. Le conoscenze verranno. Tutto non è dato immediatamente. Una vita interiore si elabora a poco a poco. Ci addentriamo nella fede oggi un po’ più di ieri, avanzando per tappe.

All’intimo della condizione umana rimane l’attesa di una presenza, il silenzioso desiderio di una comunione. Non lo dimentichiamo mai, questo semplice desiderio di Dio è già il principio della fede.
E poi, nessuno riesce a comprendere tutto il vangelo da solo. Ciascuno può dirsi: in questa comunione unica che è la Chiesa, ciò che non comprendo della fede, altri lo comprendono e lo vivono. Non mi appoggio solamente sulla mia fede ma sulla fede dei cristiani di tutti i tempi, quelli che ci ha preceduti, a partire dalla Vergine Marie e dagli apostoli fino a quelli di oggi. E giorno dopo giorno mi dispongo internamente ad aver fiducia nel Mistero della Fede.
Allora è chiaro che la fede, la fiducia in Dio, è una realtà semplicissima, così semplice che tutti la possono accogliere. È come un sussulto ripreso mille volte lungo tutta l’esistenza e fino all’ultimo soffio.

frère Roger, di Taizé

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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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