IL RISVEGLIO DEI CATTOLICI NEL PAESE MALATO

di Enzo Bianchi

in “la Repubblica” del 22 ottobre 2011


In questi ultimi anni abbiamo più volte indicato non solo l'afonia dei cattolici in politica - la
debolezza di rilevanza nella progettazione e nella costruzione della polis - ma anche le cause che
l'hanno prodotta, tra cui l'intervento diretto in politica di alcuni ecclesiastici e la scelta di agire come
un gruppo di pressione. La diaspora dei cattolici in politica all'inizio degli anni Novanta appariva
non solo come una necessità motivata ma anche come una preziosa opportunità, una "benedizione":
rendeva infatti evidente che la comunità cristiana vive di fede e di coerente comportamento etico,
ma non di soluzioni tecniche nella politica e nell'economia. Di fatto però questa diaspora si è ridotta
a irrilevanza e, fatto ancor più grave, ha lasciato segni di contrapposizione e forti divisioni tra i
cattolici stessi. In tale ambiguità, proprio per l'esposizione diretta avuta da alcune figure
rappresentative della Chiesa, questa ha subìto una perdita di credibilità e nella comunità cristiana è
apparso, dopo una stagione di grandi convinzioni, un sentimento di scetticismo, di frustrazione,
anche di cinismo. . .
Potremmo dire che comunità cristiane depresse sul versante politico, per incarnare comunque il
Vangelo hanno scelto di privilegiare una presenza sociale fatta di volontariato, di carità attiva,
finendo però anche per aumentare la sfiducia verso la politica. Alcuni hanno tentato di essere
"cattolici in politica" senza integralismi e cercando di restare ispirati dalla propria fede. Ma sono
stati irrisi come "pretenziosi cattolici adulti", considerati inadeguati alla strategia in atto se non
addirittura presenze nocive nel necessario confronto con la polis.
Ora il vento è cambiato e ha fatto sentire quanto una certa "aria ammorbata" vada purificata: si
ritiene allora opportuno abbandonare la strategia adottata in questi ultimi vent'anni, senza tuttavia
confessare gli errori compiuti, senza assumersi alcuna responsabilità per questo impoverimento del
tessuto ecclesiale e, di conseguenza, della presenza dei credenti in politica. Ecco allora, ancora una
volta, il ricorso alle associazioni cattoliche, minoranze ispirate dalla fede cristiana ancora attive e
presenti nel paese, ecco l'appuntamento di Todi.
Evento certamente importante, che viene dopo anni di non ascolto reciproco, nonostante da parte
dell'autorità ecclesiastica si sia tentato di far cessare guerre e inimicizie tra le varie associazioni già
alla fine degli anni Novanta. E il ritrovarsi questa volta è finalizzato a rispondere a una domanda:
quale presenza significativa i cattolici possono avere in politica in questo momento giudicato di
grave crisi a tutti i livelli per il nostro paese?
Ma proprio questo evento suscita anche una domanda di fondo negli appartenenti alle comunità
cristiane: perché un incontro su tematiche che riguardano tutti i cittadini cattolici viene riservato
invece alle associazioni che, salvo l'Azione Cattolica, peraltro soffrono attualmente di un forte
depotenziamento a livello di convinzioni? Più volte in questi vent'anni abbiamo auspicato un
"forum" che nelle varie chiese locali raggruppi tutti i cattolici per favorire la conoscenza e il
confronto su temi che richiedono una traduzione politica. Abbiamo specificato che questo forum,
aperto a rappresentanti di tutte le componenti della Chiesa, dovrebbe, in un dialogo libero e
fraterno, cercare ispirazione dal Vangelo e confrontarsi con la dottrina sociale della Chiesa, restando
tuttavia su un terreno prepolitico, preeconomico, pregiuridico, nella consapevolezza che la
traduzione di queste ispirazioni cristiane messe a fuoco insieme appartiene ai singoli cattolici che
devono confrontarsi negli spazi politici in cui sono presenti e con tutti gli altri cittadini.
Nessun integralismo, nessuna pressione lobbistica, nessuna imposizione, ma la riaffermazione che
essere cattolici in politica significa da un lato restare ispirati e coerenti con la propria fede e, d'altro
lato, nel dialogo rispettoso con gli altri cittadini, cercare faticosamente soluzioni politiche,
economiche, giuridiche adeguate alle esigenze che si presentano e al bene comune che intende
salvaguardare e costruire. Così facendo, se anche i cristiani apparissero una minoranza, non ci
sarebbe nulla da temere perché sarebbero una presenza significativa capace di contribuire alla
formazione di politici con a cuore il bene comune, alla progettazione di un nuovo patto educativo,
all'ideazione di un futuro per le giovani generazioni, una presenza in grado di fornire esigenze
etiche di umanizzazione e contributi decisivi in quel confronto di idee e di visioni che oggi
purtroppo tanto difetta.
Quello di Todi non è stato un forum di questo tipo, anzi: ha rischiato di cedere alle sollecitazioni
perché fornisse soluzioni solo politiche e contingenti. Eppure c'erano state alcune indicazioni che
avrebbero potuto mettere in guardia i partecipanti, a partire da quelle del segretario della Cei,
monsignor Crociata che, ai politici che si dicono cattolici, ha recentemente ricordato che esiste un
primato della fede, luce per ogni scelta, una comunione tra cattolici che li precede e che deve
manifestarsi nel discernimento di ciò che il Vangelo chiede; ma al contempo ha sottolineato che c'è
un diverso ordine che riguarda il carattere contingente della scelta politica di schieramento e la
forma politica in cui i cristiani sono chiamati a operare.
Nessun partito cattolico, quindi, e neanche "di cattolici" hanno ripetuto diversi vescovi, né
tantomeno un "partito della Chiesa". La laicità della politica va assolutamente salvaguardata e i
cattolici dovranno inevitabilmente operare con responsabilità una scelta di campo che li renda una
"parte" di schieramenti o di spazi politici in cui si collocano.
Ma non è questo, per ora, ad apparire decisivo, quanto piuttosto il recuperare le ragioni profonde
dell'azione nella polis, il tessere un dialogo nella comunità cristiana per essere muniti di ispirazione,
il sapersi collocare nella compagnia degli uomini senza esenzioni ma assumendosi responsabilità, il
saper parlare di progetti e ragioni in termini non dogmatici ma semplicemente umani, antropologici,
affinché gli altri comprendano e possano confrontarsi liberamente con i cristiani, lasciando poi alle
regole della democrazia e ai suoi criteri di determinare le scelte necessarie ai diversi livelli e le
esigenze del legiferare per il bene della convivenza.
E in questo spazio prepolitico di confronto, i cattolici potrebbero anche imparare un'esigenza
fondamentale per la loro fede: l'importanza di non fare letture parziali del Vangelo, privilegiando
alcuni principi e valori e dimenticandone altri. . . Secondo Paul Valadier, lo statuto del cristianesimo
è quello di essere una "religione anormale": perché per ogni cristiano il rispetto assoluto della vita
umana, il rifiuto della guerra, la salvaguardia della pace, la giustizia e l'eguaglianza sociale, il
perdono del nemico, la riconciliazione nei conflitti sono tutti valori irrinunciabili. Impresa non
facile certo, soprattutto in una stagione in cui riemerge l'atavica tentazione della religione: andare a
braccetto con il potere politico finché il vento non cambia direzione.


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