LA QUESTIONE BANCA D’ITALIA, SPIEGATA BENE

Il  29 gennaio 2014, dopo una seduta concitatissima,  il Parlamento ha convertito in legge un decreto che riguardava, tra gli altri temi, la riforma e la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia.
Il Movimento 5Stelle riuscì in quella occasione, peraltro non solo in quella, a far passare il messaggio che erano stati regalati 7,5 miliardi alle Banche.

                                                        VEDIAMO NEL DETTAGLIO 

COME STAVANO LE COSE ?

Alla base di tutto c’era il fatto che il capitale nominale della Banca d’Italia era,  fino alla vigilia della riforma,  di soli 156 mila euro: 300 milioni delle vecchie lire che furono versati nel 1936 dagli istituti di credito italiani, allora pubblici. 
Quegli istituti di credito dopo la riforma del 1991 e seguenti erano diventate banche private italiane ed insieme a qualche assicurazione e a INAIL e INPS, erano rimaste formalmente i proprietari della Banca d'Italia. 
A causa di una serie di acquisizioni e cessioni però, oltre il 50 per cento delle quote era di fatto passato in mano a due soli grandi gruppi : Intesa e Unicredit.
Nonostante la proprietà formale di banche e assicurazioni, oltre al 5,66 per cento ciascuno per INAIL e INPS, la Banca d’Italia era ed è un istituto di diritto pubblico, in cui le banche private non avevano e non hanno alcun controllo sulla gestione, che rimaneva interamente in mano al Tesoro e al Parlamento. Non potevano neppure vendere le proprie quote, avendo in concreto, solo qualche carica di controllo sulla Banca d’Italia stessa.  

Anche se banche centrali partecipate da diverse banche private erano presenti anche in altri paesi nel mondo, la situazione richiedeva comunque un intervento e dal 2005 se ne parlava.

La Banca d’Italia ogni anno aveva dei guadagni, che in parte girava al Ministero del Tesoro e in parte accantonava nelle riserve. Una delle fonti di guadagno era il cosiddetto  “signoraggio”, un meccanismo al centro di famose teorie del complotto mondiali, che è connesso alla emissione di moneta (ancora oggi oltre il 90 per cento del signoraggio prodotto nell'area dell'euro viene redistribuito ai vari paesi partecipanti approssimativamente in misura proporzionale al loro PIL  >>>  per chi fosse interessato i meccanismi precisi del suo funzionamento li trovate QUI).
Le cosiddette fonti di guadagno di Banca d’Italia sono in parte accantonate a riserva ed in parte trasferite al Tesoro ed in un quadro di progressive riduzioni delle cifre, l’euro non lo aveva significativamente modificato.

Si potrebbe essere portati a pensare che, dato che la proprietà formale della Banca d’Italia era di istituti privati, questi potessero aver tratto nei decenni grandi guadagni dal signoraggio, e dalle altre attività economiche della banca centrale. 
Secondo lo statuto della Banca d’Italia i guadagni erano ripartiti tra i proprietari fino a un massimo del 10 per cento circa del capitale nominale, che, lo ricordiamo, era di soli 156.000 euro, e quindi una sessantina di banche che possedeva la Banca d’Italia si poteva spartire poche decine di migliaia di euro in proporzione al capitale in loro possesso, cui  si poteva aggiungere un massimo di un ulteriore  4 per cento sul totale delle riserve. 
Complessivamente i trasferimenti dalla Banca d’Italia alle banche private a fronte di un utile netto della Banca centrale di oltre 1 miliardo di euro arrivavano ogni anno a decine di milioni complessivi.
Maggiori informazioni sui guadagni e sulla loro distribuzione di Banca d’Italia si trovano anche  QUI .

QUALI MODIFICHE HA INTRODOTTO IL DECRETO

Il decreto convertito in legge nel 2014 affrontava come detto un tema di cui si parlava almeno dal 2005, cioè come riformare e rivalutare le quote della Banca d’Italia. 

Secondo una stima della stessa Banca d’Italia, che aveva
fatto studi
 
 per diverso tempo su questa possibilità, il valore era stato valutato  tra i 5 e i 7,5 miliardi. 
Il decreto lo fissava a 7,5 miliardi di euro, anche se non mancava chi, soprattutto a destra,  sosteneva che il valore dovesse essere più alto.   Ulteriori approfondimenti   QUI

Quei 7,5 miliardi di euro non dovevano essere versati concretamente alle banche, e bene lo chiarisce in questa nota il Ministero dell’Economia .
Le banche e assicurazioni che detenevano quote le potevano iscrivere a bilancio, ciascuna secondo la propria quota, e avrebbero migliorato la loro solidità patrimoniale davanti alla Banca Centrale Europea. 
Un guadagno “astratto” ma che in vista degli stress test della BCE era comunque molto utile ed importante oltre che conveniente.

Le banche erano comunque chiamate a pagare imposte sulle cosiddette plusvalenze legate a questa operazione, e conseguentemente lo Stato ne avrebbe ricevuto un gettito fiscale una tantum di oltre un miliardo di euro, quindi lo Stato non solo non dava soldi alle banche ma riceveva un aumento delle proprie entrate fiscali.

Un’ulteriore modifica introdotta dal decreto era che le quote diventano trasferibili, cioè teoricamente comprabili e vendibili in base al valore stabilito dal mercato, ma con esplicita previsione nel decreto della impossibilità che la proprietà della Banca d’Italia potesse essere ceduta a enti stranieri, perché veniva esplicitamente previsto che i proprietari della banca dovessero avere “sede legale e amministrazione centrale in Italia”.

Veniva fissato un limite del 3 per cento per la partecipazione al capitale. 
Le banche o le assicurazioni che avevano più del tre per cento dovevano vendere la parte eccedente entro un periodo di tre anni in cui le quote potevano essere ricomprate dalla Banca d’Italia. 

IN CONCLUSIONE 

Le motivazioni che sono alla base del decreto erano in primo luogo legate alla necessità di  migliorare i bilanci delle banche italiane in vista degli stress test della BCE, creando anche una entrata straordinaria per lo Stato.  

In allegato una scheda con le risposte alle più comuni domande 


  Scarica allegato 1

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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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