LA VITTORIA SORPRENDENTE DELLA SPERANZA

mario calabresi                   Editoriali


 


 


La rabbia, la frustrazione e la protesta fanno rumore, si sentono, conquistano tutta la nostra attenzione, specie se sono gridate a squarciagola. Così eravamo tutti convinti che il voto italiano si sarebbe risolto in un testa a testa tra Matteo Renzi e Beppe Grillo, in cui quest’ultimo sembrava destinato ad avvicinarsi sempre più alla soglia del 30 per cento. 


L’aggressività della campagna dei 5 stelle e le piazze piene ci avevano sviato da altri segnali di cui avremmo dovuto tenere conto, che ci avrebbero aiutato a capire meglio la società italiana e a non scoprire la realtà con un soprassalto come troppo spesso avviene. 


Questi segnali erano la necessità di avere qualcosa in cui credere, il bisogno di una prospettiva, la speranza di un miglioramento delle condizioni. Queste però non sono cose che si gridano, ma che, per paura di rimanere delusi, si sussurrano, al massimo si confidano a bassa voce: «Crede che questa volta ce la possiamo fare? Pensa che Renzi riuscirà a sbloccare la situazione?». Domande sempre condite dalla stessa chiusa: «Io ci spero, anche perché è l’ultima possibilità che ci è rimasta». 


Lo avevamo scritto quando è nato questo governo, che un fallimento di Renzi sarebbe stato un tragico fallimento per il Paese, lo ha sintetizzato proprio ieri in conferenza stampa il premier: «Nel derby tra speranza e rabbia, la speranza ha preso il doppio dei voti della rabbia». E’ successo, con percentuali che non si erano mai neppure immaginate per un partito che viene dalla tradizione della sinistra, perché si sono definitivamente rotte le appartenenze del secolo passato e gli steccati ideologici, ma anche perché una parte consistente degli italiani ha pensato che non potevamo permetterci di creare un nuovo cumulo di macerie. 


E’ presto per conoscere i flussi dei voti, per attribuirli a categorie sociali e di età, ma la geografia invece è già chiara e ci racconta spostamenti quasi incredibili. Se si suppone che i giovani, certamente i più frustrati dalla scarsità di futuro, abbiano votato in maggioranza per il Movimento 5 stelle nella speranza di sbloccare una situazione bloccata e insostenibile, è invece credibile che i loro genitori abbiano scelto Renzi. Non per conservatorismo o perché – come ha detto Grillo – «questo è un Paese di pensionati che non pensano al futuro dei propri figli», ma al contrario per la convinzione che sia meglio costruire che distruggere. Un artigiano che votava per Forza Italia può riuscire a mettere la croce sopra il simbolo del Pd solo se è spinto da un senso di necessaria sopravvivenza, che può essere l’urgenza di salvare il negozio, l’azienda, la bottega o, più di tutto, la speranza di vedere il figlio trovare un lavoro. Questo Grillo ha sottovalutato – e noi giornalisti con lui –: l’istinto di sopravvivenza degli esseri umani e lo sfinimento di sentirsi dire che tutto fa schifo, che siamo destinati alla sconfitta, a una nuova stagione di processi e di purghe.  


All’inizio della sua carriera, quando era solito vincere, Silvio Berlusconi amava ripetere che bisogna avere sempre il sole in tasca, poi se ne è dimenticato, per mille ragioni, e lì la sua parabola politica ha cominciato a tramontare. Oggi Matteo Renzi pare aver ben chiaro questo aspetto, la necessità di indicare una strada, una luce in fondo al tunnel. Gli italiani gli hanno creduto, concedendogli un’apertura di credito senza precedenti, ma ora la responsabilità e il rischio di deludere sono immensi. Ha gli occhi degli italiani e questa volta anche degli europei addosso, abbandoni improvvisazioni e arroganze e – come ha fatto ieri – proceda spedito con senso della misura e coraggio di innovare. 

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