LE COOPERATIVE IN CARCERE: UN PATRIMONIO DI BUONE PRASSI DA CONSERVARE.

A fronte della decisione del governo di porre fine al progetto di gestione esternalizzata delle mense per i detenuti presso alcuni istituti penitenziari (Trani, Torino, Roma Rebibbia Nuovo Complesso, Roma Rebibbia -casa di reclusione-, Ragusa, Padova, Siracusa, Milano-Bollate, Ivrea e Rieti), il deputato PD Mino Taricco ha presentato oggi in parlamento una mozione a favore di una revisione della risoluzione attuata.


 


Il DAP, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, aveva avviato il progetto sperimentale - Programma Esecutivo d'Azione (P.E.A.) n. 14/2003 – in alcuni istituti di pena nel 2003, al fine di promuovere l'attività lavorativa in carcere: affidando la gestione ad alcune cooperative sociali, si era attuata la finalità di offrire formazione ai detenuti, assunti dalle cooperative stesse. Inizialmente finanziato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stato rinnovato di anno in anno fino al 2009, sostenuto dalla Cassa ammende, con giudizi ampiamente positivi sui risultati. I finanziamenti erogati ammontano nel complesso a circa 3,5 milioni l’anno e hanno permesso alle cooperative sociali di far lavorare circa 170 detenuti e 40 operatori sociali, in alcuni tra i più importanti istituti di pena italiani, la cui popolazione carceraria ammonta a circa 7 mila detenuti.


Le ricadute positive del progetto sono tangibili in termini di riduzione della recidiva, indotto effettivo per i dipendenti, ore trascorse al di fuori del carcere, qualificazione dell’esperienza detentiva altrimenti fonte di frustrazione, oltrechè anticamera della recidiva. «L’impiego dei detenuti in attività lavorative interne al carcere – commenta l’onorevole Taricco, citando parte della mozione presentata - ha aumentato le possibilità di reinserimento nell’ambito sociale e lavorativo e ha abbattuto drasticamente l’eventualità di recidiva: è stimato che chi sconta la pena senza lavorare, una volta uscito delinque in media dieci volte più di chi ha imparato un mestiere, infatti i dati rilevati nel progetto parlano di un calo della recidiva dal 70 al 2 per cento».


 


Nella mozione a firma di numerosi deputati PD (oltre a Mino Taricco, Gian Mario Fragomeli, Luisa Bossa, Enrico Borghi, Marco Bergonzi, Maria Amato, Simonetta Rubinato, Ermete Realacci, Edoardo Patriarca, Nicodemo Nazzareno Oliverio, Ernesto Magorno, Anna, Maria Carloni, Diego Crivellari, Paolo Rossi, Simona Flavia Malpezzi, Emanuele Cani, Gianni Dal Moro, Sòfia Amoddio, Angelo Senaldi, Francesco Prina, Giuseppe Romanini, Gero Grassi, Fabio Lavagno, Maria Antezza, Maria Iacono, Vanna Iori, Laura Venittelli, Maria Gaetana Greco, Paolo Cova, Giorgio Zanin, Salvatore Capone, Giuseppe Guerini, Luca Sani, Eleonora Cimbro) si citano i lodevoli commenti espressi verso il progetto da parte dei direttori delle carceri coinvolte: in una comunicazione al Ministero del 28 luglio 2014, confermano come «positiva l’esperienza, in quanto i detenuti assunti dalle cooperative sperimentano rapporti lavorativi ‘veri’ che li portano ad acquisire competenze e professionalità decisive per il reinserimento sociale».


 


Con questa decisione invece si perdono posti di lavoro alle dipendenze di imprese provenienti dall'esterno, si pregiudica la possibilità di proseguire nelle loro attività e si disperdono importanti professionalità: il coordinamento delle Cooperative in un comunicato stampa ha dichiarato che “70 persone più una quarantina di operatori esterni perderanno il posto di lavoro, terminando in modo inglorioso una buona prassi che c’invidia tutto il mondo. Viene a galla è l’idea di trasformare il lavoro penitenziario in un sistema velato di nuovo lavoro forzato, quello che Papa Francesco chiama ‘le nuove forma di schiavitù’, lo sfruttamento delle fasce deboli e indifese e che per di più, se hanno sbagliato, che paghino e basta”.


 


I deputati, ammesso che la Cassa delle Ammende non possa sostenere progetti continuativi per sua intrinseca natura, propongono pertanto al governo di trovare misure alternative per proseguire l’esperienza, evitando di ripristinare la gestione delle mense in capo al DAP, attraverso il lavoro a mercede, in quanto totalmente inadatto ad offrire un percorso di recupero ai detenuti perché completamente opposto al concetto di ‘cultura del lavoro’.


 


Si sottolinea come nota positiva il risultato dell’incontro tenutosi il 21 gennaio scorso, tra il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo, i responsabili delle diverse articolazioni del Dipartimento e i rappresentanti delle cooperative coinvolte: nel corso dell’incontro infatti, è stato riaffermato l’impegno a proseguire il rapporto di collaborazione in relazione alle attività di panificazione, produzione dolciaria e catering sviluppate dalle coop negli istituti, attraverso progetti da sottoporre alla Cassa delle Ammende e da valutare.


 


La mozione, quindi, si presenta importante se non fondamentale in questa fase, in quanto chiede esplicitamente al governo di condividere i dati del monitoraggio delle attività svolte nel decennio passato (analisi dei costi, risultati ottenuti, spese sostenute, incidenza del lavoro sulla recidiva, condizioni d’inquadramento dei detenuti sulla base delle recenti normative sul lavoro e così via tutti i dati necessari ad inquadrare l’esperienza nel suo complesso, rendendola trasparente e valutabile), di intervenire con decisione per non disperdere il prezioso patrimonio conoscitivo sviluppato e, soprattutto, di mettere in campo strumenti analoghi a quello attuato al fine di estendere, anziché concludere, l’esperienza al numero più ampio possibile di istituti di pena italiani.


Conclude l’onorevole Taricco: «E’ fondamentle individuare fonti di finanziamento alternative, così da non disperdere i virtuosi risultati ottenuti e la valevole esperienza maturata, non solo negli istituti penitenziari già coinvolti ma, a tendere, in tutti quelli coinvolgibili. L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario -legge n. 354 del 1975-, attribuisce al lavoro un ruolo centrale nel processo rieducativo e di risocializzazione del condannato, così come stabilito dall’articolo 27, comma terzo, della Costituzione: “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”; occorre quindi che la risposta al reato sia costruita in modo da favorire il recupero sociale del condannato. Il precetto costituzionale infatti impone di “guardare dentro” la pena: ai suoi contenuti, per costruirli in funzione di un obiettivo esterno, l’obiettivo della rieducazione».


 


 


Mino Taricco


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