Pericolo Popilia Japonica: prevenire i danni per salvaguardare raccolti e territori
Venerdì 31 Luglio 2015
|
Provvedimenti
|
Agricoltura
Insieme ai colleghi Capozzolo, Terrosi e Antezza, ho rivolto un’interrogazione al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali per capire come s’intenda affrontare il nuovo pericolo del parassita Popilia Japonica.
La Popillia japonica è un coleottero parassita, lungo circa 12 millimetri che mangia le radici delle piante, attaccando fino a 295 specie vegetali, coltivate o spontanee, di cui almeno cento di forte interesse economico,. Parliamo di mais, pomodoro, alberi da frutto come vite, nocciolo, meli, piccoli frutti e ancora tiglio, acero, faggio, betulla, soia, erba medica, fagioli, asparagi, zucchine, rose, dalie. Le sue larve bianche mangiano le radici delle piante e, se numerose, possono fare sparire un intero prato, tanto che nella normativa fitosanitaria l’insetto è inserito fra gli organismi di quarantena, di cui deve essere vietata l'introduzione e la diffusione nel territorio dell'Unione Europea.
La Popillia è originaria del Giappone ed è stata scoperta a Turbigo, nel parco del Ticino, non lontano da Malpensa, nel luglio del 2014; era già presente in Europa, ma soltanto nelle isole Azzorre. Negli Stati Uniti, dove è presente dal 1916, il coleottero rappresenta la specie di insetto infestante più diffusa e, secondo il dipartimento di Agricoltura degli Usa, gli interventi di controllo arrivano a costare più di 460 milioni di dollari all'anno; pertanto, nella graduatoria delle specie infestanti più nocive, la Popillia è sul terzo gradino del podio.
Le organizzazioni di categoria di alcune provincie del nord Italia hanno lanciato l’allarme sulla presenza della Popillia Japonica, peraltro in aree dove l’agricoltura è già pesantemente penalizzata dalla presenza di animali selvatici e quindi molto sensibile e preoccupata da ogni nuova potenziale difficoltà che pregiudichi le prospettive delle produzioni e del territorio. Il problema è che durante quest’inverno non c’è stato un vero gelo, così gli insetti che normalmente non passano la stagione vivi, come i pidocchi delle piante, le farfalle dei gerani, le zanzare, sono sopravvissuti e anche quelli che di norma subiscono una forte riduzione, non sono affatto indeboliti. Per debellare l’attacco sono state usate trappole attrattive, come anche insetticidi, nei limiti consentiti per i trattamenti chimici. Il passo fondamentale è però trovare un antagonista naturale, così come si è fatto con l'insetto parassitoide Torymus contro il cinipide galligeno del castagno, per ricostruire un equilibrio ecologico; ma i tempi per questo risultato sono a tre, cinque o dieci anni.
Siamo dalla parte dei coltivatori fortemente preoccupati da una globalizzazione dei parassiti che implica fare i conti con specie originarie dell'Asia o delle Americhe, per le quali il nostro ambiente non è preparato e non ha predatori naturali. Come il dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell'università di Torino sta sperimentando un sistema radar contro la vespa velutina, la cosiddetta vespa killer delle api, allo stesso modo è necessario che la ricerca e la sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio e di prevenzione ad ampio raggio, tutelino campi e coltivazioni da queste nuove specie aggressive di parassiti (come la Diabrotica del mais, il tarlo asiatico, la Xylella) in tempi utili a preservare raccolti e frutti.
Nell’interrogazione quindi abbiamo chiesto quali iniziative il Ministero intenda mettere in atto per affrontare i rischi ed i potenziali danni a colture e territori da questo nuovo aggressivo parassita.