QUALCHE PRIMA RIFLESSIONE

Volutamente in questi giorni non ho rilasciato commenti o dichiarazioni e, visto il turbinio di parole che c'è stato, non credo se ne sia sentita la mancanza. Sentivo l'esigenza di un attimo di sedimentazione delle sensazioni e delle emozioni, anche legate al fatto che dopo oltre venti anni non ero più coinvolto in prima linea nella organizzazione e nelle decisioni della campagna elettorale. 

Nelle settimane di campagna elettorale, negli incontri e iniziative cui ho potuto partecipare, ed anche nelle chiacchierate, telefonate e occasioni di dialogo e discussione che ho avuto, è stato come sempre stimolante e ricco il confronto, ma si avvertiva una disaffezione, una distanza, dalla politica in generale, ma anche e forse soprattutto, da ciò che rappresenta il Partito Democratico in questo momento.

L'esito elettorale non ha, almeno per me, riservato sorprese per quanto riguarda la coalizione vincente, non è mai stata in discussione la vittoria del centrodestra, tutt'al più rimaneva aperto il dubbio sulla modalità e sul risultato finale. Credo che ad analoghe valutazioni fossero pervenuti anche tutti coloro che hanno cercato di cogliere segnali dai discorsi e dalle considerazioni e dal clima che si respirava abitualmente in ogni ambiente.

Ciò che ha colpito è stata la portata del risultato e soprattutto il clima del finale di campagna elettorale, nel quale di fatto il Partito Democratico si è trovato sotto attacco da parte di tutti gli altri soggetti in campo. 
Anche per questo vi è la necessità di una analisi pacata ma profonda di ciò che è successo e delle cause.

Abbiamo tutti visto la lettera di Enrico Letta agli iscritti  e preso atto del suo annunciato passo indietro, e poi abbiamo letto e sentito del fermento tra le varie anime del partito e delle auto-candidature in vista dei prossimi assetti di guida del partito. Mentre inviamo questa Newsletter è in corso la Direzione nazionale del PD, e onestamente mi ha colpito sentire persone che erano candidate in più circoscrizioni e collegi, per essere garantiti di elezione, magari fuori della loro regione di residenza,  dissertare di cause e di criticità della situazione del partito. Credo servirà molto di più di un cambio di guida o di una procedura ordinaria per rilanciare l'azione e la credibilità del Partito Democratico.

Già venticinque anni fa, all'inizio dell'impegno di molti della mia generazione, a molti era parso evidente che il partito che avevamo in cuore avrebbe avuto la possibilità di diventare realmente luogo e strumento di rappresentanza delle istanze e delle speranze di un territorio e di una comunità se diventava il luogo accogliente ed aperto, dove tutti coloro che ne condividevano valori e visione sociale potessero decidere di spendere le proprie energie politiche.

Non è avvenuto! Né i partiti che storicamente hanno cercato di interpretare la visione personalistica, progressista e riformatrice ( dal cattolicesimo democratico, al socialismo, al liberalismo, alle sensibilità più marcatamente ambientali) che sono poi confluite e hanno dato origine allo stesso Partito Democratico, né quest'ultimo, sono stati realmente capaci di aprirsi per diventare “partito della comunità”.

Ne è emersa purtroppo sovente un'immagine di partito come luogo chiuso, distante dai problemi, dalle ansie e dalle speranze delle persone e delle famiglie, e soprattutto  la dirigenza nazionale è sembrata tutta concentrata su logiche di potere e senza più un vero legame di rappresentanza territoriale. In troppi sono parsi convinti di essere chiamati a ruoli più alti e autorevoli a livello nazionale, e quindi non più disponibili ad un vero ascolto  e ad  una vera presenza nella vita dei territori e delle comunità.

Altri hanno fornito surrogati, hanno narrato proposte insostenibili ed hanno cavalcato le paure e le ansie, hanno disegnato programmi clientelari e creato ad arte nemici e colpevoli. Come la storia insegna, in assenza di un progetto, di un'idea di società autenticamente giusta, con proposte tangibili e verificabili, in assenza di un autentico credibile il surrogato è spesso accolto per buono. 
Come dice un vecchio detto: “piuttosto che niente, è meglio piuttosto”. 
In assenza di un autentico vero si fa buon viso al cattivo gioco, e ci si fa piacere il surrogato.

Nonostante tutto continuo a credere che al Paese serva il Partito Democratico ed il ruolo che questo ha svolto e svolge, ma non credo basteranno più i maquillage, o l'ennesimo cambio di Segretario (6 leader cambiati in 15 anni), o magari, come qualcuno ha proposto, di nome, non basteranno le diversità, le virtù e le alterità annunciate e rivendicate rispetto al resto della "politica" …  

Il congresso ormai alle porte non potrà essere una nuova conta per capire chi darà le carte al prossimo giro, ma dovrà necessariamente essere  innanzi tutto un confronto serio su cosa si vuole essere, su cosa si ha da dire al Paese, sul perché i cittadini, le famiglie, le imprese e tutti i soggetti vitali delle nostre comunità dovrebbero essere interessati a che il Partito Democratico, le sue donne ed i suoi uomini abbiano un ruolo importante nelle Istituzioni. 

Abbiamo bisogno di una stagione della generosità, nel dare senza chiedere o pretendere, ricordandoci tutti quella frase di John Fitzgerald Kennedy "Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese".


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