SE IL PD DICE ADDIO AL BIPOLARISMO DI COALIZIONE

08 marzo 2012 di Francesco Cundari

I toni accesi delle polemiche attorno alle primarie di Palermo hanno finito per coprire la vera novità del dibattito interno al Pd: il formarsi di un consenso molto ampio sulle questioni istituzionali. Non è una novità irrilevante per l’Italia, perché la possibilità che il Pd esprima una posizione coerente in merito è condizione indispensabile per la riforma dell’attuale legge elettorale. Ed è una novità ancor più rilevante per lo stesso Partito democratico, considerato che è proprio sulle questioni istituzionali che affonda la divaricazione originaria tra i suoi dirigenti, alla base di tutte le divergenze strategiche successive (per esempio sui diversi modelli organizzativi).
L’articolo del senatore Stefano Ceccanti uscito ieri su Europa dimostra che nel Pd è maturato ormai un larghissimo consenso attorno all’idea che il problema sia proprio il bipolarismo di coalizione (come mostrano anche le diffuse critiche al modello delle primarie di coalizione). La caratteristica peggiore dell’attuale legge elettorale, osserva infatti Ceccanti, è costituita da quel premio di maggioranza che «incentiva la formazione di coalizioni adatte a vincere ma non a governare». E prosegue confutando la tesi di chi sostiene che per ovviare a questo problema basterebbe fare come il Pd nel 2008, scegliendo liberamente di correre da solo e accettando di pagarne il prezzo. «Non è buono un sistema che ci induce troppo in tentazione», dice Ceccanti. Serve invece un sistema che incentivi un esito chiaro, con uno schieramento vincitore al governo e uno sconfitto all’opposizione, senza però pretendere di garantirlo a prescindere dalla stessa volontà degli elettori. Un sistema che lasci quindi aperta la possibilità, come extrema ratio, di una Grande coalizione.
Chiunque abbia seguito un po’ il dibattito di questi ultimi vent’anni in tema di riforme istituzionali capisce subito l’importanza della larga convergenza che si è progressivamente realizzata attorno a questi principi. Cade dunque il mito del governo scelto direttamente dai cittadini, insieme con la sua maggioranza e il suo capo (il modello dell’«unto dal Signore», vera base del ventennio berlusconiano). Si fa largo invece la convinzione che l’illusione di un simile potere di scelta – in netto contrasto con l’impianto parlamentare della nostra Costituzione – non sia altro che un inganno, che all’elettore non abbia dato nessuna libertà in più, ma semmai gliene abbia tolte. Non gli ha dato il potere di scegliere governi e maggioranze più di quanto non potesse fare già ai tempi della Dc (chi ha mai votato per il governo Monti e la maggioranza che lo sostiene? E prima ancora per la coalizione Berlusconi-Scilipoti?). In compenso, il bipolarismo di coalizione ha tolto all’elettore il diritto di scegliersi il proprio partito e persino il proprio parlamentare (anche questa non certo una novità dell’attuale legge elettorale, come ben sanno gli sfortunati elettori dei tanti «collegi sicuri» di destra e di sinistra che in questi vent’anni si sono visti paracadutare senza alcuna possibilità di scelta i personaggi più indigeribili).
Il fatto che nel campo del centrosinistra queste posizioni appaiano ormai generalmente condivise è la premessa più rassicurante per il futuro del nostro sistema politico, e anche del Pd. Almeno per chi abbia a cuore, per entrambi, un’evoluzione coerente con l’impianto giuridico, politico e culturale della nostra Costituzione.

si allega Articolo di Stefano Ceccanti


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