UNA LETTURA DELLE RECENTI AMMINISTRATIVE

Domenica 19 giugno è arrivato un segnale importante che sbaglieremmo a leggere in modo schematico e semplificato, come purtroppo hanno fatto in troppi a caldo.
L’affermazione del Movimento 5Stelle, con la conseguente battuta d’arresto del PD, non è stata solo un voto di protesta o reazione ad una narrazione tutta positiva da cui in troppi si sono sentiti esclusi.
Non è stato solamente perché il PD  purtroppo è stato e si è rappresentato in troppe occasioni come una somma di gruppi in lotta tra loro, mossi più da logiche interne che dai destini e dai problemi del paese.
Non è stato soltanto un voto amministrativo locale, come non lo erano state le vittorie PD in tante amministrazioni nel 2014, perché in molti casi non vi è corrispondenza tra qualità dell’amministrazione e risultati elettorali.
Non è stato sicuramente soltanto un voto politico nazionale, perché diversamente non si spiegherebbero risultati differenti in contesti simili.
Non è stato solamente perché al ballottaggio, in un sistema tripolare, se due poli si uniscono, in quasi tutti i casi, sconfiggono il terzo, ed il terzo rischia di essere quasi sempre il PD.

L’analisi del voto va sicuramente approfondita, leggendo i flussi e le differenze tra un luogo e l’altro, città per città, regione per regione, ma sicuramente alcune linee si possono già cogliere in modo chiaro.

Il Partito Democratico di Matteo Renzi era stato accolto da grande speranza e da grande consenso per il cambiamento radicale rispetto al passato, in termini di stile, di orizzonte, di strumenti e di rapporto tra politica e comunità civile che aveva saputo interpretare.
Di stile, perché valori come sobrietà, semplificazione, schiettezza posti alla base della sua azione erano stati una rivoluzione copernicana rispetto al passato, anche recente.
Di orizzonte, perché le sfide lanciate prefiguravano una vera rifondazione del paese, accompagnata da una rivoluzione culturale, all’insegna del merito, di una rinnovata giustizia sociale, d’innovazione e di coraggio.
Di strumenti, perché in quel progetto c’era la riforma della politica e delle istituzioni e le premesse per un paese con una nuova mobilità sociale, più semplice e più accessibile a tutti.  
Di rapporto tra politica e comunità civile, perché non immaginava di far dipendere tutto dalla politica e dalle istituzioni, ma neanche pensava ad una marginalizzazione o ad loro un depotenziamento, riaffermandone invece il ruolo di servizio e orientamento gentile.
In miscele diverse, tutte queste cose sono accadute, ma la riflessione deve essere più ampia.

Sono fermamente convinto che in questi anni, complessivamente, abbiamo approvato tante buone leggi, abbiamo rimesso in movimento molti settori della pubblica amministrazione e ridato slancio al Paese che rischiava di fermarsi e arrendersi, e lo abbiamo fatto in una situazione di crisi forte, non solo nel nostro paese. Certo le riforme strutturali hanno bisogno di tempo per riverberare i loro effetti, ma la direzione è giusta e sarebbe una sciagura ora fermare il processo di cambiamento. 

I livelli amministrativi locali dovranno interrogarsi sul loro operato sia in termini di scelte che di stile.
ma questo lo lasciamo alle loro singole sensibilità.
Per il livello nazionale la constatazione che emerge è che la percezione del processo in atto si sia un po' appannata, sia perché alcune scelte non sono state ritenute coerenti da tanti cittadini nostri elettori - ad esempio, ridurre le imposte è un bene, ma va salvaguardata l’equità e sull’IMU , come ho avuto occasione di dire e scrivere in molte occasioni, questo non è avvenuto -, sia perché all’approvazione delle leggi è importante seguano attuazioni rapide e coerenti, che riflettano i loro effetti sulla vita di cittadini ed imprese, per non rischiare risultati controproducenti.
Ma soprattutto, il rischio che stiamo correndo è che, in una crescente indefinitezza di orizzonte e di idea di paese che vogliamo costruire, si crei lo spazio a forze politiche più populiste, per un disfattismo cosmico e per soluzioni improbabili.

In questi mesi abbiamo avuto segnali importanti e positivi, che ci dicono che la strada intrapresa è quella corretta, ma una parte importante delle nostre città e dei nostri territori sta facendo fatica a vivere in modo dignitoso e troppi cittadini, famiglie e comunità si sentono esclusi ed estranei ad una rappresentazione di un paese che riparte. Probabilmente la loro voce, anche in tante amministrazioni locali e nelle discussioni di partito, ci ha toccati troppo poco. 
Abbiamo scelto di non lasciare spazio nella nostra azione alla demagogia e al populismo, abbiamo scelto di non cavalcare i problemi, ma di affrontarli entrando nel merito con realismo concreto. Ma dobbiamo farlo avendo chiaro quell'orizzonte e quel progetto che avevamo declinato in modo forte, che gli italiani avevano capito e condiviso, e dobbiamo farlo con il contributo ed il confronto continuo con tutti, sapendo che poi ci sono luoghi per decidere, ma che non si deve rischiare di diventare autoreferenziali.

La sfida che ci attende è alta, per questo non basta un uomo solo, per quanto bravo possa essere. 
Serve un grande gioco di squadra che valorizzi tutte le competenze e volontà che condividono il percorso. 
Serve una comunità politica che sappia camminare insieme, al suo interno e con il paese. Serve un partito nuovo, nelle modalità organizzative e nell’idea stessa che lo sostiene, centrato non più solo su iscritti e circoli, che rischiano di diventare sempre più virtuali. Serve una comunità aperta e snella che sappia tornare a discutere e confrontarsi.
Credo che il Governo ed il Parlamento debbano mettere in campo u rinnovato impegno per ripensare il rapporto con le amministrazioni locali e con i corpi intermedi, aiutandoli ad innovarsi ed a riformarsi, con la consapevolezza dell’essenziale funzione che svolgono e di cui non possiamo fare a meno.

Continuo ad essere convinto che il Partito Democratico sia perno fondamentale nel processo di ammodernamento del paese e nel percorso per costruire una prospettiva credibile e sostenibile.
È necessario che tutti insieme recuperiamo appieno il senso della sfida a cui siamo chiamati. Per questo, spero che, smaltita l’amarezza e messe da parte le divisioni strumentali e la ricerca di capri espiatori, possiamo tornare ad occuparci con energia rinnovata dei problemi del paese, nelle Istituzioni e nel Partito Democratico.

Buon lavoro a tutti.

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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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