Colloquio con Padre Filiberto GUALA

Dove ha conosciuto Don Orione? Qual è il primo ricordo?
Io ero a Savona, dove lavoravo nelle ferrovie, e Don Costa mi parlava sempre di questo Don Orione che era in America in quegli anni. Appena tornato in Italia, Don Costa mi ha messo nelle mani di Don Orione. Ricordo che Don Orione mi ha subito preso sotto il suo comando.[3] Di fatto, mio padre spirituale era Mons. Giovanni Battista Montini; restai sempre in rapporto con lui e quando venivo Roma andavo da lui a confessarmi. “Lei deve essere un buon ingegnere e non un prete” mi disse Montini. “La Chiesa ha bisogno di laici che abbiano delle posizioni determinanti nella struttura del paese”. Poi ne parlai a Don Orione il quale commentò: “Sul non diventare prete… si dovrà vedere”. Quando poi, a distanza di molti anni, io sono diventato prete, Papa Montini non ha accolto molto bene la notizia.

Poi prese a frequentare Don Orione.
Don Orione andava a Genova tutti i Giovedì. Io facevo con Don Orione il tragitto da Genova a Tortona, perché stavo a Torino e lavoravo a Savona. Don Orione saliva su quel treno, viaggiavamo insieme e stavamo assieme alla sera. A Bolzaneto, passando presso la Madonna della Guardia, recitavamo il rosario. Parlavamo a lungo. Il giorno dopo, celebrava la Messa e io partecipavo. Poi ci dividevamo: io per i miei affari e lui se ne andava per i suoi. Così ogni giovedì.

Fra gli insegnamenti e fra le parole di Don Orione, cosa ricorda a distanza di tanto tempo?
Ricordo la sua spinta alla disponibilità nell’affrontare qualunque impresa.[4] Un bel giorno lui mi disse: “Tu farai grandi cose nella vita. Io ti chiedo un impegno: quando ti diranno che devi fare una cosa molto difficile, e tutti dicono di non farcela, e ti dicono che non c’è nessun altro che la possa fare, in coscienza tu la devi fare”. Ricordo che queste parole mi vennero in mente, poi, quando diventai direttore della RAI. Ad un certo momento, mi chiesero di assumere la direzione della RAI, un impresa nuova e ardua, dove non sapevano chi mettere. Decisero di chiedere a me. L’onorevole Scelba mi chiamò, mi parlò un poco e io gli dissi: Guardi, lei lo sa, io penso di non essere preparato per fare questo… Ed egli replicò: Non c’è nessun altro di ambito cattolico che possiamo mettere! A queste parole, io mi sono rivisto, lì davanti, Don Orione e le sue parole. E gli ho detto “si”.

Don Orione compagno di viaggio. Che altro ricorda di lui?
Ricordo un bel ritiro a Genova, a Villa Figino, dove ho conosciuto i giovani laici più vicini e amici di Don Orione: erano Terzi, Zambarbieri, Castello, e altri. Era un ritiro spirituale particolare.[5] Don Orione, ad un certo punto, fece venire delle macchine e ci portò tutti in giro per la città, a visitare le Case sue di Genova. Ricordo il Paverano. Voleva farci conoscere l’Opera! Ci considerava in qualche modo parte dell’Opera in quanto laici ed amici. Don Orione voleva presentarci alla sua famiglia.

Don Orione che rapporto aveva con voi giovani laici?
Di Don Orione – ma questo era comune anche con Montini – mi impressionava la sua capacità di attenzione: la persona con cui stava parlando era la più importante del mondo, in quel momento tutto il resto era niente, l’importante era quello lì davanti. Così faceva Don Orione con me, quando gli ero davanti era tutto per me: questo senso di unità era meraviglioso, dava confidenza a chi aveva davanti. Don Orione era uno che ti prendeva in mano.[6] Aveva questa forza coinvolgente! E uno si lasciava prendere in mano con gioia. Nell’incontro con Don Orione, colpiva l’atteggiamento di fiducia e di libertà, le sue vedute ampie, libere da interessi piccoli, da beghe di paese. Mi incoraggiò molto nelle attività dell’Apostolato del mare,[7] nonostante le difficoltà.

Quando è che si è accorto della vocazione monastica? Lei era un uomo di successo, intraprendente, un manager, direttore della RAI, quindi era lanciatissimo.
Veda, gli incarichi manageriali li ho presi per accontentare gli amici che mi chiedevano o mandavano. Ma io non ci credevo tanto. Quando è morto Don Orione, ho cominciato a frequentare Tortona e l’Istituto Teologico, lì mi pareva casa mia, ecco.[8] C’erano i chierici e così mi sentivo attratto, però non mi sono deciso perché lasciavo fare agli altri.

E poi ha sciolto il nodo…
Poi lì qualcuno ha detto: bisogna fargli fare la preparazione teologica e mi hanno fatto andare dal cardinale Siri di Genova. Andavo un giorno la settimana a Genova, a parlare con Siri e per fare la mia preparazione teologica. A un certo momento Don Carlo Pensa venne a sapere quello che Don Orione mi aveva detto sul “diventare prete” e sul fatto che quando io ero nell’apostolato del mare, avevo confidato a Don Orione: “Veda, questo apostolato del mare è un problema perché io vado a bordo e tutti mi dicono: perché tu non ci confessi?”. Perché non sono prete! – rispondevo. Sapendo questo da Don Orione,[9] Don Pensa mi suggerì addirittura di ordinarmi come prete “clandestino”, avrei continuato i miei impegni civili, ma quando avrei viaggiato per l’apostolato del mare avrei fatto il prete. Don Costa mi mandò a Belo Horizonte; risiedevo presso il “Lar dos Meninos” di Don Orione e facevo teologia in seminario, presso l’Arcivescovo.[10] Varie circostanze, tra cui il fatto che cessò l’apostolato del mare, mi indussero poi a non accettare la proposta dell’Arcivescovo che mi voleva ordinare prete.

Un altro appuntamento sfumato.
Passarono altri anni, con altri impegni pubblici. Poi mi capitò una cosa curiosa. Il superiore generale degli Orionini, Don Carlo Pensa, mi telefonò dicendomi: “Il tuo amico, Don Ignazio Terzi, vuole farsi trappista. Ora io vorrei che tu lo portassi in una trappa per esaminare se deve o non deve farsi trappista”. Allora, io telefonai a Parigi, a un famoso Padre trappista, e facemmo una esperienza alla Trappa di Citeaux. Passò un altro anno e mi ritrovai un’altra volta per una bella settimana di ritiro dai trappisti. E decisi di farmi trappista.[11]

E poi, cosa successe?
Io avevo già deciso ad entrare in monastero. Ero già pronto per entrare, quando a Torino mi avvicinò Cigna chiedendomi di guidare la gestione dell’esposizione internazionale “Italia 61”, con il solito ritornello: E’ una cosa importante. Non abbiamo nessuno di sicuro da mettere. Non c’è altra persona che possa farlo… E accettai. Gestii “Italia ‘61” assieme a Don Pollarolo. Si trattava di pochi mesi, poi pensavo di poter finalmente andare in monastero. Ed invece mi giunse un’altra proposta: gestire il piano nazionale delle case popolari, le cosiddette “Case Fanfani”. E così passò altro tempo.

Finalmente entrò qui, al monastero delle “Frattocchie”.
Io conoscevo il monastero delle “Tre Fontane” a Roma e mi piaceva. Poi però accompagnai Don Giuseppe Pollarolo per una esperienza al monastero delle “Frattocchie” e qui parlai all’Abate della mia intenzione. Questi mi disse che ero troppo vecchio: “Ma lei non sa che cosa vuol dire farsi frate; vuol dire che dove va non solo deve dire che tutto va bene, ma deve anche credere che tutto va bene”. Decisi di entrare lì. Era il 1960.[12]

Con gli Orionini è rimasto in contatto?
Si, con Frate Ave Maria, al quale Don Orione mi aveva mandato negli anni ‘40. Ero molto amico di Don Piccinini, di Don Pensa che accompagnai nei suoi viaggi in Sud America facendogli da autista e da interprete. E, soprattutto, ricordo bene Don Giuseppe Pollarolo. A Torino, noi eravamo sempre assieme. Io sono un tipo un po’ ribelle e anche Don Pollarolo era un tipo un po’ ribelle. Quelli che non trovavano me cercavano Don Pollarolo e viceversa. Mangiavamo nello stesso piatto, eravamo molto in sintonia.

In che cosa collaboravate?
Io mi sono trovato a fare tante cose a Torino nel campo civile e sociale. Allora mi rivolsi a Don Carlo Sterpi, successore di Don Orione, perché c’era bisogno di chi si occupasse dell’assistenza religiosa degli operai nelle fabbriche. Mi fu indicato Don Pollarolo che stava a Milano e faceva molto bene, era anche noto predicatore. Così Don Pollarolo è venuto a Torino e abbiamo cominciato insieme il lavoro nelle fabbriche. In questo campo è Don Pollarolo quello che ha fatto tutto; ma io ero il responsabile della Caritas piemontese e quindi eravamo una cosa sola. Sempre insieme. Don Pollarolo era una persona meravigliosa; ha incantato tutta Torino.[13] E’ stato anche frainteso, ha avuto delle critiche… era un lavoro delicato perché questioni politiche potevano interferire.

Ricordando quello che lei ha attinto da Don Orione, oggi, che cosa vorrebbe si sviluppare di lui?
Raccomanderei l’unità, l’essere una cosa sola, l’aprire tutto il cuore verso ciascuna persona. Penso alla tanta gente che io accompagnavo a Don Orione: si sentiva in lui un’apertura di cuore che in nessun altro ho mai sentito. Io non lo so fare; lui lo sapeva fare.



Pubblicato in “Messaggi di Don Orione” 33(2001) n.103, p.53-58.
A COLLOQUIO CON PADRE FILIBERTO GUALA
Abbazia Cistercense delle Frattocchie (Roma),[1] 20 maggio 1999.[2]

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