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QUANTO CI E’ COSTATO LO SPREAD NEL 2018

Dello SPREAD e della situazione economica 2018 avevo già parlato a
settembre
e a novembre 2018.

Adesso la Banca d’Italia ci ha fornito elementi per calcolare quanto ci sono costati sei mesi di follia, nei quali i nostri governanti hanno voluto dire al mondo che loro non avevano paura di nessuno, e che se ne fregavano di tutte regole, e anche del buon senso, che lo spread era una invenzione dei poteri forti e che non contava niente, che ai burocrati Bruxelles avrebbero spiegato come si vive, perché loro rispondevano solo al loro “contratto” ed il consenso era con loro. 

E abbiamo visto, dallo spread alla Legge di Bilancio come è finita.

Nonostante la discesa di dicembre, lo spread dei titoli di Stato italiani è arrivato ad un differenziale fino a 326 punti con rendimenti fino 3,677%. 

Solo a causa delle violente oscillazioni vissute nei sei mesi è costato al nostro Paese in termini di spesa per interessi quasi 2 miliardi di euro.

Nel 2018 il legame (sempre più stretto) tra spread e politica si è manifestato in tutta la sua forza e il bilancio finale dei 6 mesi rimane ampiamente negativo.

Nonostante lo spread sia sceso dopo i picchi toccati a ottobre-novembre, rispetto a inizio anno purtroppo il differenziale rimane altissimo. Lo dicono i numeri. 

Il 2 gennaio 2018, alla riapertura dei mercati dopo la pausa per le festività e cinque giorni dopo lo scioglimento delle Camere da parte del presidente Sergio Mattarella, il differenziale tra Btp decennali italiani e BUND tedeschi era pari a 163 punti base. 

Il 28 dicembre 2018, ultima seduta dell’anno, lo spread è a 254 punti, 91 in più rispetto a inizio anno.

Alla luce di ciò che è successo poteva andare peggio, molto peggio, ma il rialzo ci costerà (e ci è già costato, come detto) comunque molto caro.

Cosa è successo nel 2018 :

2 gennaio 2018: spread a 163,7 punti base. L’Italia si avvia alle elezioni.

1° marzo 2018: spread a 130,3 punti base. L’ultimo valore registrato prima delle elezioni continua a testimoniare la fiducia dei mercati e tranquillità verso le prospettive politiche future.

2 maggio 2018: spread a 121,1 punti base. La difficoltà del dopo elezioni che hanno visto M5S e Lega vincitori fa paura all’Europa ed i mercati sembrano preferire il possibile ritorno alle urne alla probabilità che si formi un governo.

1°giugno 2018: spread a 238,7 punti. Dopo quasi 3 mesi di tira e molla, con il Governo Conte l’Italia ha un nuovo Esecutivo. In un solo mese lo spread è salito di 117 punti.

3 settembre 2018: spread a 285 punti. L’agenzia di rating Fitch, due giorni prima, ha confermato il rating BBB dell’Italia, ma ha rivisto l’outlook da stabile a negativo.

20 novembre 2018: spread a 326 punti. Il verdetto ufficiale arriverà il 21 novembre, ma i mercati ne hanno già la certezza. Dopo mesi di voci sulla legge di Bilancio la UE boccia la manovra, e finalmente il Governo comincia ad abbassare i toni.

29 dicembre 2018: spread a 254 punti. Dopo l’accordo trovato con Bruxelles il differenziale comincia una parabola discendente, chiudendo l’anno sopra la soglia psicologica dei 250 punti.

A fine anno lo spread scende sotto quota 250 punti base.

Rispetto ai minimi dell’anno prima dell’insediamento del nuovo governo il differenziale è di 114,6 punti base (il 25 aprile), e i rendimenti sui decennali (e sugli altri titoli di Stato italiani), sono saliti da un minimo dell’1,717% al 2,797% del 29 dicembre, dopo aver toccato un massimo del 3,677% a fine novembre.

Nonostante il livello finale i titoli emessi dallo Stato italiani nei periodi di maggiore volatilità finanziaria e incertezza politica, ci sono costati parecchio in termini di spesa per interessi. Su questi infatti, non possiamo più farci niente e l’Italia sarà costretta a pagare interessi in alcuni casi anche raddoppiati rispetto a quanto ipotizzato a maggio anche per 10 anni. 

Solo per il 2019 il costo ulteriore sarà di 1,5 miliardi di euro. Se invece consideriamo il periodo 2018-2021 il nostro Paese sarà costretto a rimborsare agli investitori quattro miliardi in più.

Nel caso in cui lo spread restasse al livello attuale, aggirandosi dunque intorno a quota 250 punti base per il 2019 l’aggravio sarebbe di ben 4 miliardi di euro, che salirebbero a 6,5 nel 2020, superando gli 8 miliardi nel 2021.

Oltre alla maggiore spesa in interessi per lo Stato, le famiglie italiane sono già più povere e i rialzi dello spread rischiano di "vanificare" gli sforzi fatti in questi anni, l'andamento del differenziale è infatti già costato alle famiglie italiane circa 145 miliardi di euro e se non cala, potrebbe continuare nel 2019.

Per maggiori approfondimenti il Rapporto della Banca d'Italia.

P.S.

E' utile ricordare come ci rammenta l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) nella  Nota di lavoro del 3 ottobre 2017  che nel
complesso la maggiore spesa connessa con la crisi acuta 2011-12 rispetto allo
scenario post-QE sarebbe pari a circa 30,7 miliardi negli anni 2011-16, mentre
quella relativa alla fase pre-QE varrebbe circa 16,4 miliardi, per un totale di
47,2 miliardi di spesa aggiuntiva
come si può facilmente verificare a pagina 24
della Nota (UPB) nella simulazione per il periodo 2018-2020.



Inoltre è stata valutata la spesa per interessi sui titoli di Stato domestici simulando uno shock di 100 punti base su tutta la curva dei rendimenti (a partire da gennaio 2018 e per tutto il periodo di previsione del Documento di economia e finanza (DEF), quindi fino al 2020), come si evince dalla Tab. 8 la spesa incrementerebbe 

- di circa 1,8 miliardi nel primo anno (+3,4 per cento della spesa), 

- di 4,5 miliardi nel secondo (+8,6 per cento) 

- e di 6,6 nel 2020 (+12,6 per cento). 

L’incremento del fabbisogno risultante sarebbe rispettivamente di 0,1, 0,3 e 0,4 punti di PIL nel  2022. 

Come si evince da pagina 28 della Nota UPB

   


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