Adesso la Banca d’Italia ci ha fornito elementi per calcolare quanto ci sono costati sei mesi di follia, nei quali i nostri governanti hanno voluto dire al mondo che loro non avevano paura di nessuno, e che se ne fregavano di tutte regole, e anche del buon senso, che lo spread era una invenzione dei poteri forti e che non contava niente, che ai burocrati Bruxelles avrebbero spiegato come si vive, perché loro rispondevano solo al loro “contratto” ed il consenso era con loro.
E abbiamo visto, dallo spread alla Legge di Bilancio come è finita.
Nonostante la discesa di dicembre, lo spread dei titoli di Stato italiani è arrivato ad un differenziale fino a 326 punti con rendimenti fino 3,677%.
Solo a causa delle violente oscillazioni vissute nei sei mesi è costato al nostro Paese in termini di spesa per interessi quasi 2 miliardi di euro.
Nel 2018 il legame (sempre più stretto) tra spread e politica si è manifestato in tutta la sua forza e il bilancio finale dei 6 mesi rimane ampiamente negativo.
Nonostante lo spread sia sceso dopo i picchi toccati a ottobre-novembre, rispetto a inizio anno purtroppo il differenziale rimane altissimo. Lo dicono i numeri.
Il 2 gennaio 2018, alla riapertura dei mercati dopo la pausa per le festività e cinque giorni dopo lo scioglimento delle Camere da parte del presidente Sergio Mattarella, il differenziale tra Btp decennali italiani e BUND tedeschi era pari a 163 punti base.
Il 28 dicembre 2018, ultima seduta dell’anno, lo spread è a 254 punti, 91 in più rispetto a inizio anno.
Alla luce di ciò che è successo poteva andare peggio, molto peggio, ma il rialzo ci costerà (e ci è già costato, come detto) comunque molto caro.
Cosa è successo nel 2018 :
2 gennaio 2018: spread a 163,7 punti base. L’Italia si avvia alle elezioni.
1° marzo 2018: spread a 130,3 punti base. L’ultimo valore registrato prima delle elezioni continua a testimoniare la fiducia dei mercati e tranquillità verso le prospettive politiche future.
2 maggio 2018: spread a 121,1 punti base. La difficoltà del dopo elezioni che hanno visto M5S e Lega vincitori fa paura all’Europa ed i mercati sembrano preferire il possibile ritorno alle urne alla probabilità che si formi un governo.
1°giugno 2018: spread a 238,7 punti. Dopo quasi 3 mesi di tira e molla, con il Governo Conte l’Italia ha un nuovo Esecutivo. In un solo mese lo spread è salito di 117 punti.
3 settembre 2018: spread a 285 punti. L’agenzia di rating Fitch, due giorni prima, ha confermato il rating BBB dell’Italia, ma ha rivisto l’outlook da stabile a negativo.
20 novembre 2018: spread a 326 punti. Il verdetto ufficiale arriverà il 21 novembre, ma i mercati ne hanno già la certezza. Dopo mesi di voci sulla legge di Bilancio la UE boccia la manovra, e finalmente il Governo comincia ad abbassare i toni.
29 dicembre 2018: spread a 254 punti. Dopo l’accordo trovato con Bruxelles il differenziale comincia una parabola discendente, chiudendo l’anno sopra la soglia psicologica dei 250 punti.
A fine anno lo spread scende sotto quota 250 punti base.
Rispetto ai minimi dell’anno prima dell’insediamento del nuovo governo il differenziale è di 114,6 punti base (il 25 aprile), e i rendimenti sui decennali (e sugli altri titoli di Stato italiani), sono saliti da un minimo dell’1,717% al 2,797% del 29 dicembre, dopo aver toccato un massimo del 3,677% a fine novembre.
Nonostante il livello finale i titoli emessi dallo Stato italiani nei periodi di maggiore volatilità finanziaria e incertezza politica, ci sono costati parecchio in termini di spesa per interessi. Su questi infatti, non possiamo più farci niente e l’Italia sarà costretta a pagare interessi in alcuni casi anche raddoppiati rispetto a quanto ipotizzato a maggio anche per 10 anni.
Solo per il 2019 il costo ulteriore sarà di 1,5 miliardi di euro. Se invece consideriamo il periodo 2018-2021 il nostro Paese sarà costretto a rimborsare agli investitori quattro miliardi in più.
Nel caso in cui lo spread restasse al livello attuale, aggirandosi dunque intorno a quota 250 punti base per il 2019 l’aggravio sarebbe di ben 4 miliardi di euro, che salirebbero a 6,5 nel 2020, superando gli 8 miliardi nel 2021.
Oltre alla maggiore spesa in interessi per lo Stato, le famiglie italiane sono già più povere e i rialzi dello spread rischiano di "vanificare" gli sforzi fatti in questi anni, l'andamento del differenziale è infatti già costato alle famiglie italiane circa 145 miliardi di euro e se non cala, potrebbe continuare nel 2019.
P.S.
E' utile ricordare come ci rammenta l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) nella Nota di lavoro del 3 ottobre 2017 che nel
complesso la maggiore spesa connessa con la crisi acuta 2011-12 rispetto allo
scenario post-QE sarebbe pari a circa 30,7 miliardi negli anni 2011-16, mentre
quella relativa alla fase pre-QE varrebbe circa 16,4 miliardi, per un totale di
47,2 miliardi di spesa aggiuntiva come si può facilmente verificare a pagina 24
della Nota (UPB) nella simulazione per il periodo 2018-2020.
Inoltre è stata valutata la spesa per interessi sui titoli di Stato domestici simulando uno shock di 100 punti base su tutta la curva dei rendimenti (a partire da gennaio 2018 e per tutto il periodo di previsione del Documento di economia e finanza (DEF), quindi fino al 2020), come si evince dalla Tab. 8 la spesa incrementerebbe
- di circa 1,8 miliardi nel primo anno (+3,4 per cento della spesa),
- di 4,5 miliardi nel secondo (+8,6 per cento)
- e di 6,6 nel 2020 (+12,6 per cento).
L’incremento del fabbisogno risultante sarebbe rispettivamente di 0,1, 0,3 e 0,4 punti di PIL nel 2022.
Come si evince da pagina 28 della Nota UPB