RIPENSARE IL REDDITO DI CITTADINANZA
Ha ripreso vigore in queste ore la discussione sui limiti e sulla necessità del Reddito di Cittadinanza, soprattutto dopo la discussione a distanza innescata dalle affermazioni di Chiara Saraceno in merito alle continue richieste di revisione dello strumento di Matteo Renzi e di altri, alla conseguente lettera di Matteo Renzi e alla parziale correzione di tiro di Chiara Saraceno di oggi.
Lo scambio avvenuto su La Stampa ovviamente nulla aggiunge al merito della questione, anche perché ribadisce punti di vista consolidati e non nuovi, ma ha il pregio di sottolineare ancora una volta la necessità di una rivisitazione dello strumento.
Innanzi tutto sgombero il campo da ogni possibile fraintendimento, io credo fermamente nella necessità in questa stagione di misure universali di tutela sociale per chi è in difficoltà in una determinata stagione della vita propria e della propria famiglia.
Avevo sostenuto convintamente lo strumento chiamato Reddito di Inclusione (REI) e credo che pur nei suoi limiti soprattutto di risorse, sia stato un buon strumento.
Nella sua versione originaria il REI doveva avere un graduale aumento di risorse, era già previsto sino a 2,7 miliardi l’anno, ma si sapeva che per risolvere le effettive necessità si dovesse arrivare a 4,5- 5 miliardi.
In sede di discussione sulla proposta di Reddito di cittadinanza avevamo sostenuto la necessità di affinarne i meccanismi di funzionamento e di aumentarne le risorse , ma di non disperderne il patrimonio di esperienza pratica di attuazione.
Il tema non è quindi il “se”, ma il “come”.
Che questo strumento così come congegnato avesse delle criticità lo avevamo evidenziato sin dall’inizio.
Avevamo presentato emendamenti per rendere più efficace il provvedimento e modificare gli elementi di criticità che avevamo evidenziato:
- una distinzione più chiara tra politiche attive per il lavoro e politiche di contrasto alla povertà, senza andare a coinvolgere i centri per l’impiego con funzioni ulteriori visto che stentavano a svolgere quelle proprie;
- rivedere le norme sui rapporti troppo rigidi tra Reddito di Cittadinanza e reddito da lavoro e ripensare l’opzionalità del “lavoro congruo”;
- ricentrare le politiche di contrasto alla povertà sui Comuni con il coinvolgimento del terzo settore come era il REI ;
- modificare la scala di equivalenza che penalizzava le famiglie numerose;
- soprattutto non buttare tutta l’esperienza fatta in quei primi anni di sperimentazione e di prima attuazione.
Adesso dopo l’inchiesta di Milena Gabanelli che ha parlato di vero e proprio fallimento dello strumento , e anche il Report dell’Arpal - Ministero del Lavoro denuncia grosse lacune.
Un terzo dei beneficiari del Reddito di cittadinanza solamente ha dato la disponibilità per valutare offerte di lavoro da parte dei centri per l’impiego. E di questi quanti hanno trovato lavoro sol 19%.
Vanno condannate affermazioni generiche e sgradevoli della serie “giovani fannulloni, andate a lavorare”, perché sono milioni i ragazzi che si danno da fare, studiano, faticano, con famiglie che fanno sacrifici per pagare l’università, che hanno conseguito lauree, master, certificati di lingue, che hanno lavorato e lavorano d’estate per pagarsi gli studi, che fanno stage a 4-500 euro a cui si fatica a dare prospettive credibili occupazione, di vita e di futuro.
Credo sia proprio questa consapevolezza e siano proprio questi ragazzi a chiedere una revisione dello strumento affrontandone gli ormai evidenti limiti, non per smantellarne l’efficacia, ma per renderlo migliore e degno di un paese che come il nostro vuole ripartire anche negli strumenti per la lotta alla povertà al precariato e alla disoccupazione.
Come ho detto il tema non è il "se", ma il "come", ed il come è adesso nella nostra responsabilità.